Uno scrigno prezioso per accogliere i tesori della città
di Virginia Baradel
Raramente la sistemazione di raccolte museali in una sede pregevole dal punto di vista artistico, ha sortito un esito così felice come a Palazzo Fulcis, sede del nuovo Museo civico di Belluno. Lo storico palazzo nobiliare è di per sé un autentico patrimonio d’arte, sia per l’architettura che per le decorazioni interne. In genere l’avvenenza dell’ambiente risulta ingombrante per concentrare l’attenzione sulle opere esposte. Ma un progetto museografico moderno e consapevole, funzionale sia alla contemplazione dell’opera che all’ammirazione dell’ambiente, è riuscito a conciliare le due realtà disponendo le opere negli spazi dell’aristocratica dimora senza compiacimenti contestuali, ma anche senza imporre la supremazia delle esigenze espositive. Coerentemente i supporti per le opere e per il servizio didattico sono “leggeri”, tecnici ma anche compatibili con il luogo. Nel complesso si tratta di tremila metri di spazio espositivo su cinque piani e 24 stanze e di un restauro che restituisce perfettamente la sontuosa bellezza del secolo più elegante della Repubblica veneta.
Il palazzo prende il nome dal nobile casato Fulcis presente a Belluno sin dal Trecento, iscritto al Consiglio dei Nobili dal 1512. Nel 1702 il giovane Pietro ottenne il titolo di Cavaliere di Malta, il che spiega il ricorrere della croce dell’ordine nelle decorazioni del palazzo. All’epoca risalgono il Camerino d’Ercole, con gli apparati pittorici di Sebastiano Ricci, e l’alcova, un vero gioiello del rococò veneziano, dove sono tornate le consoles e la specchiera originarie. In uno spazio che è quello di una camera, due figure allegoriche (il Giorno e la Notte o l’Alba e il Crepuscolo) reggono un bordo plastico decorato a ricche volute che, a mo’ di boccascena, introduce alla parte più interna. Nella preziosa decorazione a stucco d’avorio e oro di Bortolo Cabianca, compare la croce di Malta, un elmo e chiari riferimenti militari e dunque pare pensata più per il giovane uomo che per una destinazione matrimoniale.
L’avvenimento che configurò l’attuale aspetto monumentale del palazzo furono le nozze di Guglielmo con la nobildonna trentina Francesca Migazzi De Vaal nel 1776. In quella circostanza l’architetto Valentino Alpago Novello realizzò l’elegante facciata su via Roma, i portali d’ingresso e lo scalone d’onore, nonché la sontuosa sala centrale a doppia altezza con il ballatoio che corre intorno, tipica di una villa piuttosto che di un palazzo di città. Ad affrescare il nuovo cuore del palazzo venne chiamato uno dei più popolari maestri della seconda metà Settecento: Costantino Cedini che rappresentò sul soffitto l’allegoria del Valore incoronato dalle Virtù alla presenza delle Virtù Teologali, del Merito, della Fortuna e della Guerra, nonché di Mercurio, Marte ed Ercole.
Notevoli sono i pavimenti in terrazzo veneziano, caratterizzati da motivi rocaille con volute e conchiglie il cui restauro ha richiesto, come spiega l’architetto Antonella Milani di Artico, la mappatura preventiva dei motivi decorativi, poi lo stacco e il successivo riposizionamento. Analogo metodo è stato adottato per gli intarsi dei pavimenti lignei che decorano altre sale del palazzo.
Nel corso dell’Ottocento il gusto rococò venne ripreso in chiave di eclettismo nei decori così come negli affreschi della stanza attigua all’alcova che sono databili al 1859 e da assegnare a Giuseppe Sommavilla. Alcune modifiche di primo Ottocento sono altresì da attribuire alle visite di Eugenio de Beauharnais e dell’imperatrice Maria Luigia nel 1818. In questi interventi stile impero si nota una maggior essenzialità di modanature e di superfici a specchiature monocrome.
Nel 1882 il palazzo venne acquistato da Gaetano de Bertoldi. La città di Belluno entrò in possesso della nobile dimora tra il 1982 e 1988. Da allora ebbe inizio un lungo lavoro di studio per avviarne il recupero conservativo e la trasformazione in sede museale. Nel 2002 il Comune cedette l’immobile alla Fondazione Cariverona che s’impegnò a restaurare il palazzo e ad affidarlo in comodato alla città per farne il suo Museo. Fu nel 2009 che, nel corso degli scavi nel cortile, vennero alla luce i resti di una necropoli longobarda databile tra il VI e VII secolo, ritrovamenti che hanno costituito un tassello importante per la storia altomedievale della città. Le tombe erano disposte in file parallele in senso nord-sud, con la testa dell’inumato rivolta a est, costruite con una cura particolare che prevedeva anche l’impiego di strutture lignee o in muratura. I reperti recuperati negli scavi andranno ad arricchire le collezioni archeologiche che troveranno sede definitiva a Palazzo Bembo, quando il recupero, sempre a carico della Fondazione Cariverona, sarà ultimato. A piano terra, lungo i quattro lati del cortile interno corre un porticato in cui è stata integrata e restaurata la pavimentazione in pietra rossa, mentre la pavimentazione del cortile in ghiaino seminato migliora l’accessibilità e aumenta lo spazio per esposizioni ed eventi all’aperto. Al secondo piano, si è fatto tesoro della luce naturale per esporre, in uno dei corridoi coperti che si affacciano sul cortile, la raccolta di tavolette votive della chiesa di Sant’Andrea che dunque il visitatore potrà ammirare in una visione ravvicinata, la stessa cui era obbligato in origine per via delle minuscole dimensioni della chiesa, abbattuta dopo un terremoto nel 1873.
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