Un’oasi di pace a Rivai: il sogno di Stefania è realtà

ARSIE'
“Custode” è un sostantivo sia maschile sia femminile e pertanto non si può distinguere dal genere o dalla desinenza, ma solo dal contesto. E nella nostra provincia non mancano gli esempi di donne custodi. È il caso di Stefania Padovan, 45 anni di Rivai, paesello del comune di Arsiè, figlia di artigiani e nipote di «agricoltori di necessità, come accadeva a molte famiglie delle nostre zone», che dopo aver passato diversi lavori ha deciso di ascoltare la sua chiamata interiore alla terra e alla montagna, sospinta dalla sua passione sconfinata per i cavalli.
Com’è cominciato tutto?
«Ho sempre amato la solitudine e il contatto con la natura, tanto che ogni volta che potevo mi ci appartavo. Frequento il mondo dell’equitazione da 15 anni, è la mia passione e da quando ho i miei cavalli cerco sempre l’occasione per stare con loro. Anche mio papà Gino è appassionato di montagna come me, così qualche anno fa abbiamo deciso di acquistare assieme un terreno da 2 ettari e mezzo a cima Lan (da qui il nome dell’azienda “Sul dorso di Lan”), a pochi chilometri da Col Perer, tra i 1.200 e i 1.300 metri di quota. L’idea iniziale era ristrutturare il rustico da usare nei fine settimana come classica casera. Tutti mi dicevano di trasformarlo in agriturismo ma per me era il mio rifugio, dove passeggiare con i cavalli e fare l’orto».
Cosa è cambiato?
«Quando ho iniziato a lavorare dopo aver studiato al liceo classico di Feltre non avevo le idee molto chiare. Ho fatto di tutto e di più, sempre lavori manuali, finché non mi sono inserita nell’azienda artigiana di famiglia, dove ci occupiamo di assistenza tecnica di apparecchiature da bar. Stando a contatto con maneggi e agriturismi ho conosciuto molti imprenditori agricoli, che in quella fase osservavo da spettatrice. È successo però che un’estate diversi escursionisti a passeggio per cima Lan lungo gli itinerari della Grande Guerra, nel vedermi lavorare la terra, si avvicinavano per chiedermi se vendevo fagioli o patate. All’inizio non ci ho nemmeno pensato, poi però mi sono ricordata che faccio parte dell’area Igp del fagiolo di Lamon, così mi son detta “perché non provare? ”.
Quali sono stati i primi passi?
Nel 2014 ho aperto la partita Iva agricola, che ho sempre gestito come seconda attività perché continuo a lavorare nell’azienda di famiglia. Ho iniziato a fare l’agricoltrice nel 2015 dopo aver seguito dei corsi di formazione, nei quali ho scoperto il potenziale di questo settore e ho capito che quella che poteva essere una fantasia sarebbe diventata una realtà concreta. Ho iniziato a coltivare il fagiolo di Lamon, cui ho aggiunto l’anno dopo i piccoli frutti quali lamponi, ribes e more di rovo che trasformo in succhi e composte, per poi arrivare a cimentarmi con lo zafferano. Ora faccio anche parte del consorzio “Zafferano Dolomiti” trovando colture di nicchia tipiche della montagna.
Poi è arrivato l’agricampeggio.
«Mi è sempre piaciuta l’idea dell’ospitalità: vedevo la gente passeggiare, a volte affaticata e magari alla ricerca di un contatto, così ho cominciato offrendo loro un caffè e due chiacchiere, finché non mi sono accorta che quassù manca un posto dedicato all’accoglienza dei turisti. Ho maturato questa scelta nel giro di un anno puntando sul risparmio, per non fare investimenti che non mi sarei potuta ripagare ma anche per non snaturare il posto, cercando una soluzione che fosse sostenibile e che non intaccasse in territorio con scavi o strane costruzioni».
Che tipo di turismo serve alla nostra provincia?
«Lento, per non dire lentissimo. Dobbiamo rimanere un ambiente di nicchia, perché la gente cerca sempre più spesso luoghi tranquilli e riparati dal caos dove rigenerarsi, stare lontani dalla massa e staccarsi dal sistema. Se troviamo il giusto modo di offrirlo, la montagna non si snaturerà. Da noi le persone vengono ospitate in casa nostra e abbiamo l’occasione di far vedere loro come si vive qui, in modo autentico».
Cosa pensa del progetto DDolomiti?
«Che fare rete e aggregarsi attorno a idee e bisogni comuni è fondamentale. Quando ero partita con lo zafferano ero da sola, ma appena ho scoperto l’esistenza del consorzio non ho esitato un attimo ad aderire. Dobbiamo puntare sui marchi. La guida dei “Custodi del territorio” è un prodotto vincente e il fatto che ci siano così tante donne dietro non può che renderlo un progetto speciale».
Si sente custode?
«Nel mio piccolo credo di aver trasformato quel posto, che era pieno di rovi e sassi e nell’abbandono totale, in qualcosa di bello e accogliente. Senza volerlo né saperlo, lo sono diventata. Più che responsabilità per me è una gioia, perché ho imparato che essendo se stessi e seguendo il proprio istinto, i risultati prima o poi poi arrivano». –
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