«Vado all’estero e ci rimango»

Storie di bellunesi che vivono e lavorano in altri Paesi o province italiane. «Tante opportunità»

BELLUNO. «Il problema non sta tanto nel flusso di giovani che lasciano la provincia, ma piuttosto in quello di coloro che poi vogliono ritornarci. Il confronto con altre realtà rende il ritorno difficile». Le parole di Betty Sovilla, bellunese che dal 2004 vive in Svizzera, mettono in primo piano un tema di strettissima attualità: il territorio bellunese si spopola e invecchia. Tanti i giovani che si trasferiscono all’estero o in altre zone d’Italia. Questo di per sé non è necessariamente un male. A preoccupare è il fatto che non rientrano.

Al 31 dicembre 2017 i bellunesi iscritti all’Aire (Anagrafe italiana dei residenti all’estero) tra i 18 e i 40 anni erano 16.572 (32,30% del totale). Lo scorso anno i nuovi iscritti in questa fascia d’età sono stati 1.111. «Penso sia normale, specialmente per i giovani, cercare opportunità e fare nuove esperienze al di fuori della realtà in cui si è cresciuti», sottolinea Betty, membro di Bellunoradici.net, il social network nato da un progetto di Associazione Bellunesi nel Mondo, Camera di commercio e Provincia di Belluno.

«Tutto il mondo è in diretto contatto, le barriere linguistiche non ci sono quasi più. Il problema sta però nel fatto che chi lascia la provincia poi non rientra». La Sovilla è nata a Belluno 50 anni fa. Ha vissuto per molti anni a Castion, studiato da perito edile all’Iti “Segato” e conseguito la laurea in ingegneria civile, a Padova. Dopo alcuni anni di libera professione, si è trasferita in Svizzera per proseguire gli studi: nel 2004 il dottorato di ricerca al Politecnico federale di Zurigo. Tutt’oggi lavora all’Istituto di ricerca per la neve e le valanghe di Davos.

«Ho lavorato per alcuni anni al centro valanghe di Arabba nel contesto di un progetto europeo e durante questo periodo ho intrecciato contatti con altri istituti di ricerca all’estero», precisa. «Alla scadenza del contratto ho subito ricevuto un’offerta di dottorato in Svizzera. Probabilmente avrei potuto trovare altre soluzioni in provincia e quindi non sono stata obbligata ad andare a lavorare all’estero».

«Onestamente, però, non credo tornerei a Belluno», continua. «Il tenore di vita che la Svizzera offre al ricercatore è molto elevato, forse tra i più alti a livello mondiale. Non vedo possibilità simili né a Belluno né in qualsiasi altra provincia italiana. Ovviamente le mie radici nel Bellunese restano comunque molto forti».

Daniele De Bon, 28 anni, terzo di sette figli di una famiglia bellunese, da un paio d’anni non vive più in provincia. Dopo aver frequentato l’Istituto d’arte di Vittorio Veneto, ha conseguito la laurea in architettura all’Università di Udine. «Faccio parte di quel 2% di popolazione provinciale in meno», evidenzia, «di quei giovani che sono partiti alla ricerca non di un sogno, ma semplicemente di una professione, della possibilità di praticare il lavoro che amano e quello per cui hanno studiato».

Da Belluno Daniele si è spostato a Padova, poi a Pescara (direzione lavori per un’impresa) e da circa 5 mesi è a Bolzano, «dove con un vero contratto faccio il progettista di interni alla Fkontract e, se tutto andrà come previsto, sarò assunto a tempo indeterminato». «Inizialmente ho lasciato Belluno, dopo aver provato a restare in tutti i modi, con molta rabbia e delusione verso la mia città, promettendomi che non sarei più tornato», afferma. «Ora, però, dopo solo due anni sento la nostalgia. Spero, nonostante tutto, di poter tornare. Ma tornare per fare il mio lavoro, per credere alla “rinascita” di questa provincia».

Daniele vive nel territorio nei nostri vicini a statuto speciale. «Belluno e Bolzano sono geograficamente molto simili», commenta, «eppure, sotto altri punti di vista, le differenze sono tante. Le risorse economiche hanno il loro peso, certo, ma c’è anche altro. In provincia di Belluno le aziende di occhiali sembrano essere l’unica prospettiva di un lavoro sicuro. Ci si è dimenticati dell’artigianato locale e del turismo, per fare solo due esempi. Ho lavorato durante l’università in due studi bellunesi (in un caso anche con grandi promesse, non mantenute), ma alla fine sono dovuto partire».

A sperare di poter tornare nel suo paese d’origine è anche Emiliano Dall’Anese, altro membro di Bellunoradici. net, classe 1983. «Il mio auspicio è trovare una posizione accademica in Italia in futuro», mette in risalto. «Sono emigrato perché ho avuto un’opportunità di lavoro unica: mi era stato offerto un postdoc all’Università del Minnesota, negli Usa. Ho poi trascorso tre anni al National Renewable Energy Laboratory –Golden (Colorado). Ad agosto scorso sono diventato professore al Department of Electrical, Computer and Energy Engineerign dell’University del Colorado Boulder». Secondo Emiliano è naturale il «flusso di giovani verso le altre province o all’estero, principalmente per il fatto che Belluno non ha un’università. Ma il problema è rappresentato anche dalle poche possibilità di lavoro in provincia per i laureati, specie nei settori in cui hanno studiato».

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