Vajont, tante le testimonianze anche cinquant’anni dopo

BELLUNO. Maria Luisa Da Re nel 1963 frequentava la terza media alle scuole Ricci di Belluno. Una delle sue compagne si chiamava Antonella Serafini, e un giorno, poco dopo l’inizio dell’anno, non si è presentata in classe. Non è mai più tornata: Antonella è morta il 9 ottobre, insieme ad altre duemila persone, travolta dall’ondata del Vajont.
Non sapremmo nemmeno che è esistita, questa ragazzina “dolce e solare”, non fosse stato per la signora Da Re, e prima di lei per Tommaso Pettazzi, due lettori che si sono presi la briga di scrivere il ricordo della loro amica nel memoriale delle vittime del Vajont (http://racconta.gelocal.it/corrierealpi/vajont/index.php?page=hp) creato online dal Corriere delle Alpi. Un anno dopo il disastro, i compagni di classe di Antonella sono andati a trovarla in cimitero e lì hanno incontrato «una sua zia» racconta Da Re «che ci chiedeva se avessimo una foto della nipote, perché a lei non era rimasto nulla». Il Vajont è anche questo: tante persone rimaste senza più nulla dei propri cari, se non i ricordi. Niente immagini, niente vecchi orologi, collane o libri a cui legare la memoria di un padre o di un’amica.
Il memoriale online è nato proprio per tentare di colmare i vuoti, salvando (e condividendo) il ricordo di tutte le 1910 vittime del 9 ottobre 1963. Antonella – e come lei Guglielmo, Cesare, Teresa e Alessandro – non è poi solo una vittima del Vajont: è stata una persona, con pregi e difetti, tic, relazioni famigliari, amici e paure. A 50 anni dal disastro, non è rimasto molto tempo per raccogliere aneddoti e dettagli della sua vita, o di tutte le altre.
Ad esempio. Senza l'aiuto del lettore Ugo Altinier, il signor Cesare Arduini sarebbe solo un pensionato, all'epoca 79enne, sposato con Dosolina Zandonella. E invece, lo scopriamo “romagnolo sanguigno”, socialista carismatico: “era quasi un capopopolo, compagno stretto e collaboratore a Longarone del sindaco Guglielmo Celso. Quando parlava lui, tutti stavano zitti ad ascoltarlo: parlava uno di loro, ma uno... con le palle così". I fratelli Galletto sarebbero “solo” un Alessandro e un Federico di Milano, 10 e 13 anni, e invece: avevano vissuto in Rhodesia del sud – racconta Roberta Sburlino – dove il padre, ingegnere, aveva lavorato per costruire la centrale idroelettrica di Kariba. La mamma era morta in un incidente ferroviario sulla linea Venezia-Milano. Nell’ottobre del ’63, Alessandro e Federico si trovavano a Longarone solo perché erano venuti a trovare il nonno per qualche giorno.
Una foto come quella inviata da Antimo Savaris (pubblicata qui sopra) impedisce che la famiglia De Bona svanisca come se non fosse mai esistita: ora che le possiamo guardare, la faccia sorridente di Alberta e quella perplessa di Maria, fanno parte anche di noi. Esistono ancora.
Oltre al memoriale, che continuerà ad arricchirsi dei contributi dei lettori, per il cinquantenario del Vajont il giornale ha creato anche uno speciale online (che trovate a questo indirizzo: http://temi.repubblica.it/corrierealpi-diga-del-vajont-1963-2013-il-cinquantenario/), con interviste, testimonianze e analisi sul disastro del 9 ottobre 1963. Navigando nel sito, potrete farvi raccontare dai sopravvissuti cosa significa, per loro, continuare a vivere di fronte alla diga perfetta. Potrete rileggere la storia vera del Vajont, quella ambientata a Erto, fatta di montanari ribelli, profughi forzati e clandestini. E ancora, potrete osservare la dinamica della frana e dell’onda, farvi un’idea della provenienza delle 1910 persone uccise (a Longarone sono morti bellunesi e siciliani, per dire), analizzare gli articoli dell’epoca e scorrere le immagini di un mondo che non c’è più.
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