Valle del Mis, la Cassazione respinge il ricorso di Valsabbia

«Una sentenza che non ci sorprende, ora però deve essere applicata in tempi precisi».
Il mondo ambientalista saluta così la sentenza del 14 settembre con cui la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di Eva Valsabbia che, quindi, dovrà ripristinare completamente lo stato dei luoghi in Valle del Mis in cui nel 2012 iniziò i lavori di costruzione di quella che avrebbe dovuto diventare una centralina. Se oggi l’opera non c’è è perché nel novembre 2012 la stessa Cassazione cancellò una precedente sentenza del Tribunale superiore delle acque di Roma e bloccò il cantiere di Valsabbia, aperto dalla società nonostante fosse a conoscenza che la Cassazione si sarebbe espressa. Valsabbia era andata avanti forte delle autorizzazioni avute dalla Regione, dal Parco, dall’autorità di bacino e del benestare dei Comuni di Gosaldo e Sospirolo. Tutti enti contro i quali ha intentato una causa civile chiedendo un risarcimento di quasi 39 milioni per i danni subiti a causa dello stop del cantiere. Della questione si occuperà il tribunale di Venezia il 24 novembre.
Soddisfazione per quanto deciso dalla Cassazione il 14 settembre arriva intanto dalle associazioni che da sempre si sono battute contro la centralina. «La sentenza del 2012 – dice Augusto De Nato del Wwf – era già chiara: rimandava alla legge quadro sui parchi e, stabilendo che Valsabbia aveva compiuto un sopruso, diceva di fatto che la stessa avrebbe dovuto ripristinare lo stato dei luoghi. Poi Valsabbia ha fatto ricorso con l’unico scopo di tirarla per le lunghe».
Se è vero che la Cassazione ha ora esplicitato questo obbligo, rimangono dei dubbi proprio sulla lunghezza delle operazioni di ripristino. Se ci sono voluti cinque anni per stabilire chi doveva farlo, quanto ci vorrà perché lo faccia? Nel novembre 2013 la Regione aveva intimato a Valsabbia di redigere un progetto di ripristino entro 120 giorni (da qui il ricorso di Valsabbia respinto prima dal tribunale delle acque, ora dalla Cassazione). «Tutto ciò che è stato realizzato da Valsabbia dentro e fuori il Parco deve essere cancellato, compresa la briglia, e il territorio riportato a com’era prima dell’avvio del cantiere – aggiunge De Nato – ci batteremo per questo. Certo, siamo consapevoli che dal punto di vista naturalistico non tornerà tutto come prima».
Pensare al futuro, tuttavia, non implica una rimozione del passato, comprese le autorizzazioni che Regione e Parco diedero a un’opera che non si poteva costruire. «Se fossi nei consiglieri del Parco – dice De Nato – al tempo presieduto da Guido De Zordo, diretto da Nino Martino, fra i quali c’era anche Alberto Colleselli della forestale di Belluno e l’ex senatore Gianvittore Vaccari, non dormirei sonni tranquilli, perché qualcuno potrebbe chiedere loro conto delle decisioni che hanno preso. E la Corte dei Conti? Quanti soldi pubblici hanno speso in questi anni Parco e Regione per gli avvocati?». Ma intanto gli ambientalisti hanno trovato “un giudice a Berlino” per la seconda volta.
«La battaglia sarà vinta quando avverrà il ripristino– dice Nico Paulon di Acqua Bene Comune – ma intanto questa vicenda deve far capire a chi governa i territori che ci sono tanti cittadini, comitati che non sono disposti a farsi mettere i piedi in testa. Serve da lezione anche a quegli amministratori che dicono che non si può niente contro le centraline. Adesso partiamo con la battaglia contro gli incentivi».
Gianni Santomaso
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi