Vania Zoppè, la boscaiola del Cansiglio protagonista di una serie tv

Gestisce un’azienda con il compagno. «Nei boschi nulla tornerà come prima»

TAMBRE

«Non so se questi boschi torneranno belli come prima della tempesta Vaia. Non so neanche se si rigenereranno. Quindi mi sono spesso trovata a piangere davanti a questo disastro. Tanto più in una foresta gestita al meglio come quella del Cansiglio».

Chi parla è Vania Zoppè, di Puos d’Alpago, una delle protagoniste della nuova serie sul lavoro dei boscaioli dopo il disastro forestale di fine ottobre, che da martedì 11 giugno alle 22.20 andrà in onda sul canale Dmax. “Undercut - L'oro di legno” è il titolo del programma.

Aveva 15 anni quando Vania ha cominciato ad accarezzare abeti e faggi, prima di abbatterli. Era il padre Pasquale a portarla. Li accompagnava la madre. A 31 anni Vania si è messa in proprio. Adesso ne ha 39. La ditta è sua e vi lavora anche il compagno. «Ero tentata di smettere quando mio marito è morto di malattia, tutti noi ancora giovani. Ma, dopo un ripensamento», confessa, «ho deciso di continuare».

Vania ha due figli, una ragazza di 14 anni e uno di 11. La troviamo in Col Soler, all’interno della foresta del Cansiglio.

A che ora comincia a lavorare?

«Parto da casa alle 6 del mattino, dopo aver preparato la colazione ai figli. Sono qui in foresta non più tardi delle 6.20. La sera smettiamo alle 19, spesso anche alle 19.30».

Lei prepara da mangiare al marito nella baracca che avete allestito in cantiere?

«Sì, ma anch’io lavoro. Uso la motosega per tagliare le piante, le sramo, le carico sul camion, guido il camion, ma ovviamente guido anche il trattore e l’escavatore».

Quanti metri cubi lavorate al giorno?

«Arriviamo anche a 60, 70 metri cubi».

Quindi decine di piante?

«Decine e decine. Le falegnamerie vengono a prendersele dall’Austria, grazie ad un contratto che risale ancora al 2014».

In due è un lavoro massacrante.

«Ci siamo dotati di una macchina nuova, un “processire” per la sramatura, che finora facevamo a mano. Ma è complicato adoperarlo».

Quando avvicina la motosega all’abete, non è stata mai catturata dalla tentazione di tirarsi indietro?

«Sì, tante volte. In alcuni casi ho anche pianto. Ma questo è il mio lavoro. In questi mesi le sensazioni psicologiche sono contrapposte. Lavoriamo su alberi schiantati, ormai quindi a terra. Ci consoliamo, se così possiamo dire, con la consapevolezza di fare un’opera meritoria: la bonifica del bosco. Ci dispiace, soltanto, di non riuscire a trasformare il bosco in un giardino, come siamo soliti fare quando abbattiamo alberi in piedi».

Si riferisce al problema delle ceppaie?

«È il vero disastro della tempesta Vaia. Non riusciamo a rimetterle in ordine, al loro posto. Ci proviamo con il trattore e l’escavatore, ma è un’impresa difficile e dispendiosa. Bisogna lasciarle dove le troviamo, ma che razza di bosco risorgerà? Non so se la foresta del Cansiglio avrà un futuro come l’antico bosco da remi della Serenissima».

I suoi figli faranno lo stesso mestiere della mamma?

«Non lo so. Li ho lasciati liberi di scegliere. I nonni li portano ogni tanto in bosco e si fermano da noi, cercando di confortarci con la loro presenza».

Avete anche un cane.

«È un pastore belga con qualche “ingrediente” di pastore tedesco: ci fa tanta compagnia».

Lo porta perché teme l’arrivo di lupi o orsi?

«Non li temo. Anzi, mi piacerebbe incontrarli (magari a distanza di sicurezza). Fino ad oggi non li ho mai visti. Cervi sì, invece. Tanti, forse troppi. Ed ho trovato spesso anche i resti di qualche abbuffata…».

Venite in bosco anche di sabato e domenica?

«Spesso di sabato».

Riesce ad andare in palestra o a ballare?

«Provoca? Secondo lei, io la sera ho voglia di uscire? Mi basta fare la cena ai bimbi».

Non si è mai pentita di essersi dedicata ad un lavoro così tanto maschile?

«No, mai. Fare la boscaiola mi ha sempre dato molta soddisfazione».

Il momento più bello?

«Preparare la catasta di legna, i tronchi belli, puliti, in ordine. Anzi no…».

No perché?

«Perché, in verità, il momento di maggiore soddisfazione è quello in cui ridai dignità al bosco, pulendolo come fosse il giardino di casa».

E oggi ciò non è possibile?

«Dopo la tempesta Vaia proprio no, se non in rarissimi casi. È’ pur vero che quando liberi un pezzo di bosco dai tronchi schiantati cominci a respirare, a sospirare. Ti rendi conto di aver fatto un’opera meritoria, magari ridando luce al sottobosco, per il quale speri che ci sia una rapida crescita. Lo speri, ma in verità sai che questo succederà solo fra generazioni. E allora ti cattura il rammarico». —
 

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