Verdure freschissime da Francesco: ogni sabato in vendita i prodotti della terra

Dipendente del centro Consorzi, da un mese ha aperto “Le Faràngole”. «Il mio sogno? Una cooperativa dove scambiare generi alimentari»

Gianni Santomaso

CANALE D’AGORDO. Al tavolo di legno che lamenta non essergli riuscito al meglio, sotto un susino che promette bene e davanti a un bicchiere di sciroppo di fiori di sambuco fatto in casa e allungato con l’acqua, Francesco Fontanive, 24 anni, pronuncia più volte le parole «etica» e «passione». Lo fa senza prosopopea, ma dando la sensazione di avere una stella polare che orienta il cammino.

Laureato a novembre 2021 in tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro e da dicembre assunto al Centro consorzi di Sedico, da poco più di un mese Francesco ha aperto l’azienda agricola “Le Faràngole” a due passi dalla piazza di Canale d’Agordo. «L’ho chiamata così», spiega, «perché il passo che ha questo nome e che collega la Val Granda e la Val Veneggia, tra il Mulaz e le Pale di San Martino, è il mio posto preferito. Ci vado due-tre volte l’anno: amo i paesaggi selvatici che lassù si incontrano».

Anche lui si definisce un po’«salvàrech», ma in realtà coltiva nell’animo l’idea di una maggiore cooperazione fra le persone. E visto che coltivare la terra gli riesce bene, chissà che non riesca a trasferirne le tecniche anche altrove. «Da piccolo», dice, «avevo il mio orticello tre metri per tre dove mi sbizzarrivo e seguivo l’esempio di mia nonna Fernanda, che lavorava i campi col fazzoletto a fiori in testa, e di mia madre».

Francesco è un pratico, uno che ha voglia di sporcarsi le mani e che «impara facendo». Così, attraverso vari esperimenti ed errori, mescolando infarinatura famigliare con conoscenze maturate online, i nove metri quadri del bambino sono diventati i 220-230 di un ragazzo che ha dato forma a una passione. Vi hanno trovato dimora insalata, radicchio, zucchine, cipolle, patate, porri, fagioli di vari tipi, granoturco, carciofi, biete, coste, carote, prezzemolo, basilico, pomodori, ribes, fragole. Di tutto. «L’idea di aprire una piccola azienda agricola c’era da parecchio. Avevamo due-tre orti, ma, dal momento che tutto cresce assieme, finivamo per buttare via tanta roba. Il periodo del lockdown mi ha dato senz’altro una spinta. Decisivo è stato poi l’aiuto di Roberto Paladini che lavora con me al Centro Consorzi e che si occupa di consulenza amministrativa e fiscale per gli imprenditori agricoli. Con lui ho capito che potevo mettere in piedi un’attività senza grosse responsabilità e oneri».

Francesco, sostenuto da mamma Lucia, papà Sante e dalla morosa Arianna, che si è ricavata un’aiuola riservata alle piante aromatiche, vende il sabato direttamente in campo. «Ho pensato di preparare delle cassettine settimanali miste», dice, «in cui metto dentro un po’ di tutto in modo da star dietro a quanto gli orti offrono man mano. Sono venute soprattutto persone del paese che, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per mancanza di estro, non hanno l’orto. Fra queste c’è chi mi ha anche già prenotato qualcosa a lungo termine. Non faccio prezzi esorbitanti: con 20 centesimi in più la gente sa da dove viene il prodotto, sa che non impiego fitosanitari, sa anche che potrà trovare dentro qualche animaletto».

Oggi gli orti sono «incampati» e, a parte gli imprevisti (vedi il vento che ha trascinato la serra a decine di metri di distanza), alla fine della giornata di lavoro stipendiato a Francesco basta una mezz’ora per fare il giro. Questa primavera, però, di ore ne ha dedicate parecchie. «Finché le giornate non si sono allungate», racconta, «lavoravo con la frontale. Per fortuna la stagione è andata via bene e ho cercato di sfruttarla al massimo anche perché, come diceva la mia vicina di casa, Giulia Fontanive, che ha fatto l’orto fino a 103 anni, “una settimana di primavera vale come tre d’estate” : bisogna assecondare la voglia di crescere che ha la natura».

Natura che, per Francesco, è «una medicina, una panacea dopo una giornata in ufficio davanti al computer», ma potrebbe anche essere la base per un progetto sociale. Egli, infatti, vorrebbe riuscire a intavolare con altre persone con la sua stessa passione un discorso di mutuo aiuto, di scambio, di cooperazione. «Credo che da soli non si vada da nessuna parte», sottolinea, «e credo pertanto che dovremmo recuperare quella collaborazione che in altre zone è normale. Qui, invece, c’è un po’ la tendenza di ognuno a stare sul suo. Ne ho discusso anche con altri ragazzi della zona e ci siamo detti che sarebbe bello trovarci e parlarne. Mettere in piedi una cooperativa in cui uno porta quello che ha e lo scambia con gli altri, sarebbe eccezionale. Da qualche parte, come a Fedèr, hanno più sole e quindi raccolgono prima, da un’altra parte coltivano più fagioli, da un’altra più patate. Insomma si potrebbe pensare di tornare a una sorta di baratto per aiutarsi: una mano lava l’altra. Potremmo versare ciascuno una quota e magari poi trovare un terzista che viene da tutti a “sbadilà l órt”».

In ballo, per Francesco, c’è, in fondo, una questione etico-socale. «La grande distribuzione», dice, «ci offre di tutto e così abbiamo perso di vista il soddisfacimento dei bisogni primari anche nel campo alimentare e finiamo per mangiare frutta e verdura che viene da chissà dove sottoposta a continui sbalzi di temperatura tutt’altro che salutari. Foraggiamo un’agricoltura che è diventata insostenibile, in cui percentuali elevate di terreni vengono coltivate non per l’alimentazione delle persone, ma per quella di animali che poi divengono prodotti dell’alimentazione umana. Non sono vegetariano, ma credo che coltivazioni e allevamenti intensivi non siano etici».

C’è anche un altro campo in cui continua a esserci qualcosa di insostenibile: ogni giorno in Italia muoiono tre-quattro persone sul lavoro. Con i corsi per la sicurezza che il Centro Consorzi rivolge agli artigiani, Francesco si propone di aumentare la sensibilità nei confronti del tema. «Da vent’anni in Italia non facciamo passi avanti per ridurre il numero delle vittime e degli infortuni sul lavoro, non è semplice sviluppare nei lavoratori una coscienza del limite che porti, per esempio, a fermarsi quando si è stanchi. Quando uno si scotta poi cambia, molti, però, vedono i corsi solo come un obbligo, un costo o una perdita di tempo. Il sistema e la burocrazia non aiutano. Parlo contro il mio interesse, ma credo che lo Stato dovrebbe essere più presente nel divulgare direttamente la cultura della sicurezza sul lavoro, dovrebbe dirti, come in Svizzera, come devi comportarti e poi controllare: se sgarri deve bacchettarti».

Francesco fa avanti e indietro tra Canale e Sedico. Nel suo paese ha intenzione di fare la sua vita. «Mi piacerebbe cimentarmi nella gestione di qualcosa di più strutturato», dice, «penso a un agriturismo o a un rifugio. Di questa terra amo gli aspetti naturali, ma anche la possibilità di avere vicini di casa a cui puoi dare le uova e la verdura e ricevere in cambio un salame o una trota. Mi piacerebbe riuscissimo ad avere più cura del nostro territorio, sfruttando maggiormente la risorsa legno e sono preoccupato per lo spopolamento e, connesso, per il mantenimento dei servizi, specie nella sanità, ambito in cui la montagna è stata trascurata. I medici di base sono pochi, il pronto soccorso diventa spesso il solo modo per ottenere visite specialistiche in breve tempo e le cure specialistiche sono lontane con disagi e spese notevoli anche per i famigliari dei degenti»

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi