Viaggio nell'inferno del carcere di Baldenich

Belluno. Sperandio e Pettenò: «Celle strette e sovraffollate». Vita dura anche per le guardie, sotto organico del 30%
Gino Sperandio con un familiare di Mirco Sacchet
Gino Sperandio con un familiare di Mirco Sacchet
BELLUNO.
Stanze lunghe, strette e umide, pochi spazi di socializzazione e la chimera - sempre più tale - del re-inserimento lavorativo. E' stata una fotografia amara quella scattata ieri all'interno del carcere di Baldenich dal consigliere regionale Pietrangelo Pettenò e dal bellunese Gino Sperandio. Ad attenderli fuori dalle mura c'era anche la madre di Mirco Sacchet, il giovane che si è suicidato una settimana fa.

Mirco si è tolto la vita dietro le sbarre della sua cella nel reparto di isolamento, dove aveva chiesto di potersi ritirare. La verità - riportano i due - è che non ci sono nemmeno i soldi per il riscaldamento.


Quello di Pettenò e Sperandio è stato un piccolo viaggio nell'orrore. «Abbiamo trovato una situazione drammatica», dicono dopo che il cancello verde del carcere si chiude alle loro spalle.

Il primo rilievo viene fatto alla struttura, vecchia e inadeguata per una popolazione carceraria che invece non accenna a diminuire. L'ala messa peggio - riferiscono i due - è quella maschile che è allo stesso tempo la più numerosa.


Ogni cella ha la sua turca e un lavello che viene utilizzato anche per lavare utensili e stoviglie. Le docce sono in comune in una zona particolarmente umida.

C'è poi la questione degli spazi vitali. «Le celle sono strette e sovraffollate», ribadisce l'avvocato Sperandio. «E mancano i luoghi di aggregazione».

Va meglio alle donne e alle transessuali. In questo caso la questione è anche numerica. Ce ne sono meno e quindi riescono per lo meno a respirare: «Quella dei trans è l'ala più nuova», sottolinea il rappresentante comunista. «I lavori sono datati 2005 e almeno qui ci sono i bagni singoli». Altro capitolo è quello del reinserimento sociale e lavorativo, un obiettivo che - in tempi di ristrettezze economiche - è sempre più un miraggio. «Su circa 150 detenuti, lavorano solo in 13», sottolinea Sperandio.

Rincara la dose Pettenò: «La Regione ha tagliato drasticamente i fondi per i progetti di recupero all'interno delle carceri».


Quanto a Belluno la situazione è "pessima", ma non è la peggiore. «Questa però non è certo una buona notizia», ribadisce il consigliere regionale di Rifondazione Comunista. «Belluno continua a essere una delle strutture più vecchie e disagiate».


Vista dall'altra parte, ci sono le condizioni di vita delle guardie carcerarie. «La carenza di organico supera il trenta per cento», prosegue Pettenò. «Non è facile nemmeno per loro lavorare in questo modo tra turni che saltano, ferie che non arrivano mai e straordinari».

Ma il libro nero di Baldenich non finisce qui. I due politici - che nelle due ore e mezza di visita hanno conversato a lungo con la direttrice, Immacolata Mannarella - riferiscono anche di alcuni problemi nel far quadrare i conti della struttura. «Ci sono pochi soldi. Anche per le carceri sono diminuite le risorse messe a disposizione dello Stato».

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