«Vietato nascere» Ostetricie venete martedì in sciopero
PADOVA. Niente fiocchi rosa o azzurri. Loro malgrado, dovranno scioperare pure i bebè. Il 12 febbraio sarà “vietato nascere” nelle 38 Ostetricie del Veneto. Ginecologi e ostetriche dicono basta ai tagli, chiedono di essere aiutati di fronte a contenziosi legali in continua crescita e, per converso, a finanziamenti in picchiata. Anche l’azienda ospedaliera di Padova soffre di crisi delle vocazioni di giovani medici e di assunzioni fatte con il contagocce. Il direttore della Clinica ostetrica Gianni Nardelli analizza dati che fotografano una situazione desolante: «I medici strutturati erano 23, ora solo sei. Io stesso sono costretto a fare le guardie. Non nascondo che siamo in sofferenza sia sul fronte medico che su quello ostetrico».
Solvenio Caroti (Usl 13 di Dolo), Raffaele Cicciarella (Usl 12 di Venezia), Italo De Meo (Usl 15 Alta padovana), Tiziano Maggino (Usl 12 di Venezia), Gianni Nardelli (azienda ospedaliera di Padova) si sono dati appuntamento all’Ordine dei Medici della città del Santo per denunciare una situazione «insostenibile». Al loro fianco il presidente dell’Ordine di Padova Maurizio Benato, il consigliere Antonella Agnello (ginecologa di professione) ed il presidente regionale dell’Ordine dei Medici Maurizio Scassola. Il gotha della Ginecologia veneta sgombra subito il campo dai fraintendimenti: «Non si tratta di una mera protesta di categoria», spiega Scassola, «ma di una manifestazione di impegno civile nell’interesse dei pazienti e di centinaia di operatori della sanità veneta». I numeri veneti danno il polso di un problema che di certo varca i confini della sala parto: nel 2011, nei 38 punti nascita della regione, sono nati quasi 45 mila bambini, con un aumento dell’1% rispetto all’anno precedente. Spiccano Padova, Verona e Treviso, che superano ciascuna gli ottomila parti l’anno. Dopo una tanto lunga quanto silenziosa sofferenza di fronte a tagli orizzontali ai fondi per mettere in sicurezza le Ostetricie, a contenziosi medico-paziente in continuo aumento, i ginecologi hanno detto “basta”. Sul fronte assicurativo, sia in ospedale che sul territorio, la situazione sta assumendo contorni paradossali: «Arriviamo a dover pagare ventimila euro l’anno di assicurazione integrativa per la colpa grave», sottolineano «ma a fronte a risarcimenti da 7 milioni di euro che possiamo fare?». E se un ginecologo ha il curriculum “macchiato” da una pendenza penale (a prescindere che si tramuti in una condanna) spesso la stessa compagnia assicurativa gli dà il benservito. Ed ecco che si profilano i cesarei “difensivi”. Maria Teresa Gervasi, direttore della Divisione ostetrica, non nasconde che la professione di “ginecologo da sala parto” si dibatte tra due principi contrapposti: da una parte la convinzione da trasmettere alla donna che la gravidanza non è una malattia, ma uno “stato”, dall’altra però la consapevolezza che «esiste uno zoccolo duro di patologia con cui, a volte, bisogna fare i conti» spiega Gervasi, «è necessaria una legislazione che in qualche modo protegga il medico. In qualche maniera tutti accettiamo malattia e morte. Non si accetta ancora però che gravidanza e parto possano essere gravate dalla patologia. E non c’entra in alcun modo l’innalzamento dell’età della partoriente, il problema è legato alle gravidanze fisiologiche che, in un limitatissimo numero di casi, possono avere complicazioni». Qual è la ricetta? «Trasmettere alla donna tranquillità, ascoltarla e dare risposte a tutte le sue comprensibilissime ansie e preoccupazioni».
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