Violenze e maltrattamenti in caserma

Un caporale maggiore dell’esercito è finito sotto inchiesta per abusi sessuali e soprusi: ad accusarlo sono tredici alpini
Un'aula di tribunale in un'immagine d'archivio.
Un'aula di tribunale in un'immagine d'archivio.

BELLUNO. Avrebbe costretto tredici alpini a subire angherie di ogni tipo: dalle violenze fisiche a quelle sessuali, dalle umiliazioni “pubbliche” ai ricatti privati. Per questo motivo un caporale maggiore dell’esercito, un siciliano di 28 anni, all’epoca dei fatti “istruttore” aggregato al Settimo Reggimento alpini di Belluno, è finito nel mirino della procura della Repubblica di Belluno con le pesantissime accuse di violenza sessuale, estorsione e violenza privata.

Ad accusarlo sono tredici alpini, che facevano parte della squadra alle sue dirette “dipendenze” e che sono state addestrate, all’interno delle caserme bellunesi, per un periodo compreso tra il 1 ed il 21 luglio del 2010. Tre settimane di addestramento che si sono trasformate in un vero e proprio incubo per i tredici militari di ferma permanente, agli ordini del caporale istruttore siciliano.

Stando alle notizie filtrate sulla delicata vicenda, per la quale è già in corso un processo “parallelo” al tribunale militare di Verona, ma che per competenza territoriale ora è finita in procura a Belluno, il caporalmaggiore siciliano si sarebbe “macchiato” di una serie di azioni intimidatorie come ad esempio obbligare gli alpini a lui sottoposti a bere grosse quantità di super-alcolici o birra, fino ad ubriacarsi. In altre occasione avrebbe costretto gli alpini, durante l’addestramento, a bere tutto d’un fiato, una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo, mentre gli altri compagni facevano le flessioni sulle braccia, finché la bottiglia non veniva completamente svuotata. Non solo. In alcuni casi, gli alpini sotto addestramento sarebbero stati costretti, di notte, ad alzarsi e a fare un’adunata in mimetica e con trucco da combattimento, soltanto per umiliarli. Si parla anche di soprusi come quelli di obbligare gli alpini della stessa squadra a non parlare tra di loro pena l’allontanamento dall’addestramento ed il ritorno ai reparti di appartenenza. O anche di ordini ai militari di colpirsi reciprocamente con un bastone sull’elmetto, per simulare, a suo dire, i colpi d’arma da fuoco. Ma si parla anche di atti ben più pesanti: come ad esempio ad ogni errore di un alpino, scattava una ritorsione nei confronti di tutta la squadra. Come ad esempio, obbligare i militari a tenere sollevato il fucile sopra la loro testa e facendo a tutti ripetere frasi scurrili o umilianti.

Il pubblico ministero Simone Marcon, titolare dell’inchiesta, contesta al caporalmaggiore, anche i reati di violenza sessuale ed estorsione. Ma pochi particolari sono filtrati su questo aspetto dell’inchiesta. Un’inchiesta innescata dalla denuncia interna dei tredici militari, parti offese nel procedimento penale a carico del caporale alpino.

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