Vivere in montagna, una sfida difficile
Il Festival della Psicologia raddoppia a Sedico con due convegni su benessere e spopolamento delle zone montane

A Sedico si è parlato di come mantenere il benessere psicologico nelle comunità montane, in aree soggette a spopolamento, ma anche di come si sentono dal punto di vista psicologico gli abitanti che restano e quali sono i loro bisogni, come si può intervenire e con quali strumenti. Tutti temi che l’Ordine delle Psicologhe e Psicologi del Veneto ha messo al centro di due incontri organizzati a Villa Patt a Sedico.
Un primo confronto rivolto a sindaci e amministratori della provincia si è svolto venerdì 18 ottobre: «Vivere in zone montane: quali prospettive per il benessere psicosociale». Il secondo incontro a carattere scientifico «Benessere psicologico e ambiente: bisogni, strumenti e prospettive», si è tenuto oggi, sabato 19 ottobre, diretto agli psicologi, psicoterapeuti, medici di tutte le discipline. Al centro la relazione persona-ambiente e il problema della denatalità. Un dialogo tra le istituzioni del territorio bellunese, sociologi, psicologi e psichiatri provenienti dal territorio e dai più prestigiosi atenei italiani, per condividere strumenti e prospettive con l’obiettivo di “costruire” il benessere psicologico degli abitanti della montagna, mettendo in relazione la persona con l’ambiente, tenendo conto del fenomeno dello spopolamento.
Gli amministratori del territorio hanno sottolineato il problema della denatalità e lo “scivolamento” dei giovani in aree più urbanizzate che non costruiscono più famiglie nella loro terra. Altro elemento emerso è la carenza di personale e i concorsi pubblici che vanno deserti, che può essere arginata solo favorendo una politica dell’accoglienza. Una platea di sindaci e di amministratori locali allineata sulla volontà di contrastare lo spopolamento insieme, ognuno con il proprio contributo.
I dati. Secondo l’Istat, al primo gennaio 2024 gli abitanti della provincia di Belluno erano 197.767, rispetto ai 198.105 dell'anno precedente. In media un calo di un migliaio all’anno; è l’Alto Bellunese ad essere più in sofferenza. Lo spopolamento continua, anche se nel 2023 ha rallentato un po' la sua corsa. Un territorio che fatica, come altre province montane, a trattenere e a far crescere la popolazione. Quando una terra si spopola, quali effetti a livello psicologico possono avere gli abitanti che restano? «La montagna porta con sé molte opportunità ma anche molte complessità di bisogni psico sociale e territorial», dice Luca Pezzullo, presidente dell’Ordine Psicologi Veneto, «Come Ordine abbiamo ritenuto di fare un focus verticale che mettesse assieme amministratori, stakeholder, professionisti della salute, psicologi e medici per ragionare sulle sfide del sistema montano a cui bisogna dare risposte. Il territorio bellunese è soggetto allo spopolamento e all’invecchiamento della popolazione, e per chi rimane l’impatto psicologico è rilevante: si crea una sorta di ambivalenza, chi resta tende a rimanere legato al proprio luogo, alla propria matrice identitaria con un senso di disperazione, di difficoltà nel portare avanti generazione dopo generazione lo sviluppo del territorio. Al contempo i giovani vanno a cercare nuove opportunità di vita e costruzione delle proprie famiglie in aree urbane. Nasce in chi rimane quindi il senso del “tradimento” di identità, emotivamente faticoso, un “non detto” poiché si comprendono le ragioni degli altri. Quindi rimango qui, ma non hanno alternative per rigenerare o pensare ad un futuro diverso, in un contesto in cui si instaura una rapida riduzione di rigeneratività del territorio in termini sociali ed economici. In termini psicologi, un senso di solitudine di isolamento».
Il benessere percepito. «Alcuni correlati psicologici del vivere in aree urbane e aree rurali sono uguali» spiega il professor Enrico Perilli, docente Università dell’Aquila e presidente dell’Ordine Psicologi Abruzzo, «: solitudine, sentimento di estraneazione, depressione, il tempo passato in auto per gli spostamenti, sono i comportamenti che ritroviamo in entrambe le aree. Ma in quelle rurali e quindi anche montane, è presente la percezione del supporto psicologico, di non essere soli, di avere una rete di sostegno a cui chiedere aiuto anche se non sempre tale supporto è realmente maggiore. Questo accade anche nelle città, una percezione di sostegno che aumenta con l’avanzare dell’età anche in luoghi degradati, sostanzialmente le persone anziane tendono ad accontentarsi di più, conta meno la mancanza di trasporti, di servizi, per gli anziani conta la vicinanza di altre persone e di non essere totalmente isolati».
«L’obiettivo della Fondazione» sottolinea Francesca De Biasi, presidente Fondazione Welfare Dolomiti Belluno, «è contrastare lo spopolamento. Già nel 2018 avevamo inserito la parola ‘identità’, uno dei cinque assi del programma, partendo dal concetto che non dobbiamo pensare solo a ripopolare ma anche alla tipologia di comunità che vogliamo costruire. Se non curiamo la comunità e il rapporto tra le persone e l’ambiente, rischiamo di avere una provincia popolata ma disgregata e con problemi ingestibili. Dobbiamo pensare ad una serie di azioni. Il primo passo è quello di sostenere una riflessione comune che tenga conto di ciò che i giovani dicono rispetto ai motivi per cui andarsene o rimanere. In una ricerca condotta nel 2019-2020 è apparso chiaramente come la natura e il paesaggio, insieme al senso di appartenenza e la sicurezza, sono i motivi per cui consiglierebbero la nostra provincia come luogo in cui vivere. Non si può pensare ad un ripopolamento solo ad opera del turismo o dell’economia, del traino del settore dell’occhiale: serve il sostegno alle comunità e la qualità delle relazioni».
«Uno studio condotto nella provincia di Belluno, il progetto “Rigenera Montagna”, promosso da Fondazione Centro Studi per la Montagna Angelini con la partecipazione anche del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e di molti altri enti e associazioni», spiega la professoressa Francesca Pazzaglia docente di Psicologia Generale, Università di Padova, «si è concluso quest’anno e con esiti molto soddisfacenti. Il legame tra contatto con la natura e benessere è stato supportato negli ultimi decenni da numerose ricerche. Rigenera Montagna è una esperienza di avvicinamento alla natura condotta in questa zona. Abbiamo coinvolto un centinaio di studenti di tre istituti superiori della zona in attività svolte in ambienti montani, impegnandoli nello sfalcio dei prati, nei mestieri nelle pozze d’alpeggio, in attività di ascolto, osservazione dei lavori tradizionali che purtroppo si stanno perdendo. Abbiamo esaminato le emozioni positive e negative e la vitalità prima e dopo queste uscite a contatto con la natura riscontrando che tra la prima e la seconda valutazione aumentavano le emozioni positive, diminuivano quelle negative con un effetto molto marcato sulla vitalità: i ragazzi dopo l’uscita all’aperto avevano più voglia di mettersi in gioco, più positivi verso la loro vita, più ottimisti».
«Stiamo acquisendo dati sull’efficacia del Bagno nella Foresta» interviene Margherita Pasini, docente di Psicometria - Università di Verona, «Abbiamo avuto la possibilità di sviluppare questi percorsi, grazie alla collaborazione con una struttura ricettiva del Cadore, un’esperienza che stiamo facendo con la direzione e i dipendenti che partecipano allo studio volontariamente. Un’immersione nella natura e su questo ci sono già molti studi- offre una capacità rigenerativa sia dal punto di vista emotivo che cognitivo perché aiuta a recuperare energie tolte dall’impegno professionale. Noi come Università di Verona raccogliamo i dati di ricerca da questo percorso. Le persone al lavoro hanno delle risorse e delle richieste. E come si bilanciano? Nel caso in cui le richieste siano maggiori delle risorse, si cade nello stress, nel burnout e in generale diminuisce il benessere. Il nostro auspicio è che il bagno nella foresta diventi parte delle risorse e una opportunità per l’individuo anche fuori dal contesto professionale».
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