Zero contabilità, bariste cinesi nei guai
FELTRE. Gestivano con disinvoltura la contabilità di due bar nel Feltrino, omettendo di tenere la regolare contabilità e risultando a tutti gli effetti evasori totali. Madre e figlia, entrambi di origine cinese, sono state incastrate dall’attività ispettiva avviata nei loro confronti dal personale coordinato dal comandante Paolo Tissot, della tenenza della guardia di finanza di Feltre. In base alla verifica avviata durante il mese di ottobre, le fiamme gialle hanno stabilito una mancata dichiarazione per oltre 300mila euro di ricavi con un’evasione di Iva superiore ai 25mila euro. L’ispezione ha dovuto fare i conti con l’irregolare tenuta dei registri contabili e quindi la ricostruzione dell’effettivo volume di affare è stato possibile solo grazie a una serie di controlli incrociati e all’analisi dei dati contenuti nei registratori di cassa.
Durante un controllo del magazzino del bar gestito dalla figlia, i finanzieri hanno anche identificato un lavoratore in nero, anch’egli di origine cinese e con un regolare permesso di soggiorno per il territorio nazionale. Il periodo preso in considerazione dalla guardia di finanza comprende il periodo che va dal 2010 ad oggi, cioè da quando avevano rilevato le due attività dai precedenti gestori.
L’entità dell’evasione ipotizzata dal controllo ripropone il problema della concorrenza sleale di chi, in un momento già economicamente difficile, cerca di frodare il fisco a danno degli altri esercenti onesti, e l’integrazione, spesso difficile, della comunità cinese, anche in una realtà piccola come la nostra.
Il direttore dell’Ascom di Belluno, Luca Dal Poz, analizza l’episodio da diversi punti di vista: «Non ne faccio una questione di nazionalità», dice l’esponente dell’associazione commercianti, «perché chiunque evade mette automaticamente in atto una concorrenza sleale nei confronti degli altri operatori. Il fatto che i controlli consentano, come in questo caso, di colpire al bersaglio grosso, mi fa pensare che qui da noi possiamo stare tranquilli sul fatto che le regole sono uguali per tutti. Incontrando gli associati verifichiamo in questo momento di crisi la loro difficoltà a monetizzare le ore e le energie spese nel proprio negozio. In pratica, si lavora tanto, ma il guadagno è minimo».
La comunità cinese dedita al commercio va un po’ per conto proprio: «Di associati cinesi non ne abbiamo, ma qualcuno si rivolge a noi, soprattutto quando deve avviare l’attività per chiedere una consulenza. Per il resto non c’è grande integrazione», conclude Dal Poz.(r.c.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi