Belluno nascosta: dai mugnai agli zattieri, l’acqua dà vita ai borghi lungo i fiumi
BELLUNO. Forre e bojoni testimoniano il lavoro certosino del torrente Ardo, un tempo molto più impetuoso di adesso. Una forza che ha consentito a Belluno una fiorente manifattura lungo le sue rive grazie ad una roggia oggi scomparsa che ne convogliava le acque: nel ’500 si contavano 28 opifici che fecero la fortuna di borgo Pra. Pochi metri più a sud gli stretti paesaggi montani lasciano spazio al letto del fiume Piave, che nell’omonimo borgo ai piedi della città offre scorci quasi marinari.
È l’acqua il filo conduttore dei borghi di Belluno, i protagonisti di oggi di “Belluno nascosta”. In primo luogo quella del torrente Ardo, affluente del Piave, che dava forza non solo a manifatture fabbrili - come le officine Orzes, che abbiamo già visitato - ma anche mulini, magli e segherie. Lo testimonia un documento del 1574 del podestà Marco Antonio Miari: lungo l’Ardo erano dislocati 11 mulini, 6 magli, 6 fucine, 2 segherie e 3 folli, cioè le manifatture che battevano la lana per ricavarne feltro per mantelle o da usare sotto le selle.
Oggi di quell’industria è rimasta una via, che si chiama appunto “al Fol”, che continuando da via San Francesco porta verso borgo Pra. È invece una testimonianza più concreta quella portata da un vecchio mulino trasformato in abitazione e recentemente ristrutturato. La passeggiata continua lungo la riva dell’Ardo fino ad arrivare ad una pietra miliare del passato manifatturiero di Belluno: la Sala De Luca è stata conceria e mobilificio e, in un passato più recente, centro culturale. «È un esempio di architettura tipica bellunese» spiega la guida turistica Marta Azzalini.
È a questo punto che si incontra il primo dei tanti ponti di questo percorso. Il ponte “della paglia” collega le scalette che scendono dal centro cittadino alla riva sinistra dell’Ardo. Un tempo, spiega la guida turistica, anche la roggia che riforniva d’acqua le manifatture attraversava il fiume grazie ad un telaio in ferro, ancora oggi visibile. A ridosso del ponte è presente anche un vecchio lavatoio, oggi sfruttato come tela dai writers. «Il ponte della paglia si chiama così perché dicono che avesse una copertura» continua Marta Azzalini, «e per attraversarlo si pagava un dazio». Una volta percorso il ponte si apre la piazza di borgo Pra, un luogo che si sviluppò a partire dal ’400 con la fiera di San Lucano e il mercato del bestiame.
Via dell’Anta, una lunga strada pianeggiante che lascia intuire come ci si stia avvicinando alla confluenza con il Piave, conduce fino all’omonimo ponte dove, ai piedi del seminario, si intravede un antico mulino. Passando sulla riva destra del torrente, in quella che un tempo era via Guido Rossa e oggi è via della Roggia, si arriva al punto in cui l’Ardo incontra il Piave. La passeggiata lungo l’argine è, soprattutto nelle giornate primaverili ed estive, affollatissima. Non è certo un luogo “segreto” ma è talmente bello e piacevole che non poteva non essere citato.
Le antiche segherie, oggi in vendita, che si incrociano lungo il cammino lasciano presagire quello che è il “core business” di borgo Piave. Le zattere composte dai tronchi del Cadore dovevano sostare una notte qui prima di ripartire. Un vero e proprio porto che aveva come cuore il “Botegon”, il ritrovo degli zattieri. L’edificio, che si trova di fronte alla chiesa di San Nicolò, è stato recentemente ristrutturato. Un tempo la piazzetta si affacciava direttamente sul Piave: oggi è al sicuro grazie ad un’opera di contenimento che, se da una parte salva dalle bizze delle acque, toglie un po’ di poesia al paesaggio. Basta fare qualche passo, però, per tornare a vedere i flutti. Al civico 66 di via San Nicolò lo sguardo ha un attimo di esitazione: da una parte il fiume, dall’altra gli affreschi di casa Secco, uno dei pochi edifici ad offrire esempi di pittura murale sulla parete esterna. Girando per le viuzze circostanti può capitare di imbattersi in affreschi nascosti o in caratteristici cortili: perdersi a borgo Piave non è facile, ma se ci riuscirete non ne rimarrete delusi.
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi