Belluno nascosta: nell’antico cimitero di Prade l’arte sublima il dolore
BELLUNO. C’è un luogo, a Belluno, che proprio segreto non è. Anzi, lo conoscono tutti quelli che hanno un nonno, una mamma, un familiare che riposa a Prade. Ma abbiamo deciso comunque di inserirlo nella rubrica Belluno nascosta, che vi vuole svelare i luoghi meno conosciuti della città, perché vorremmo farvelo vedere con occhi diversi. Con il dovuto rispetto siamo entrati nel cimitero principale di Belluno, quello di Prade, accompagnati dalla guida Annalisa Croce. Insieme a lei abbiamo alzato gli occhi fino a scovare alcune opere dello scultore bellunese Valentino Panciera Besarel, li abbiamo abbassati per leggere i nomi sulle tombe dei soldati morti nella prima guerra mondiale, li abbiamo chiusi per immaginare come doveva essere questo luogo nella prima metà del 1800, quando venne realizzato per ottemperare all’editto napoleonico che vietava sepolture in centro città.
In precedenza il cimitero cittadino per eccellenza era quello della chiesa di Santo Stefano. Lì, dove oggi ci sono delle verdi aiuole, un tempo venivano sepolti i bellunesi. A partire dal 1832, però, riposano a Prade (e in altri 12 cimiteri cittadini: Cusighe, Antole, Bolzano Bellunese, Castion, Levego, Orzes, Salce, San Fermo, Tassei, Tisoi, Visome e nella cappella privata della famiglia Buzzati).
L’ingresso dell’antico cimitero si trova sul lato destro della struttura attuale, ampliata nel corso degli anni. Lo si distingue anche grazie ad un diverso stile architettonico e alle decorazioni di stile neoclassico, tipiche dell’architettura funeraria di metà ’800.
Il cimitero porta la “firma” di Alessandro Giobbe e comporta, per i bellunesi del tempo, una piccola rivoluzione. Non solo perché per salutare i propri cari defunti ora bisogna fare parecchia strada (all’epoca Prade era all’estrema periferia della città) ma anche perché il decreto napoleonico, imponendo l’istituzione di tombe singole, crea una vera e propria gerarchizzazione della morte, con visibili differenze fra le classi sociali più o meno abbienti.
Non è un caso che la parte più bella dell’antico cimitero sia quella del famedio, cioè il luogo dove riposano personaggi e famiglie illustri. Piloni, Fulcis, De Bertoldi, Miari, Persicini: molti cognomi di casati nobili bellunesi sono scolpiti nella pietra delle tombe di famiglia e in alcuni casi le sepolture sono recenti, risalenti ad appena qualche anno fa.
Ma l’800 segna l’affermazione di una nuova classe sociale, quella della borghesia, che proprio in quel secolo assume un ruolo chiave nella società. Una presenza ben visibile anche passeggiando sotto le volte dell’ala antica del cimitero. Al centro delle pareti che chiudono il porticato sono posizionati due busti: si guardano, proprio come dovevano aver fatto per tante volte quando erano in vita. Sono le tombe di Giuseppe Segusini, l’architetto che firmò il Teatro Comunale e Palazzo Rosso, la sede del municipio, e di Gian Battista Zannini, allora podestà della città nonché amico dell’architetto. A far realizzare la scultura di Segusini fu la moglie di Zannini quando l’architetto era ancora in vita e per realizzare il busto scelse lo scultore più in voga del periodo, Besarel.
Sono pochissime le immagini religiose che si incontrano percorrendo i porticati dell’ala antica. Abbondano le ancore, simbolo di salvezza, le fiaccole rovesciate che ricordano che l’anima del defunto continua a bruciare nell’aldilà, le figure dolenti ma composte. E, in un’epoca in cui le fotografie scarseggiavano, il ricordo del defunto veniva affidato alla pietra, che fissava in eterno il volto austero di una signora o quello assorto di un bambino. Nel cimitero antico riposa anche il medico originario di Castelfranco Pietro Pagello, primario di chirurgia a Belluno ma noto, più che altro, perché protagonista di una tormentata storia d’amore con la scrittrice francese George Sand: all’epoca fu un “gossip” europeo. Amori, amicizie, affetti: episodi di vita cittadina che, grazie all’arte, vengono ricordati per sempre.
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