Belluno scommette sul museo Fulcis
BELLUNO. Fuori dal coro delle lamentazioni, peraltro fondate, sui beni artistici nel patrio suolo, Belluno va in controtendenza e mette la cultura al centro del suo futuro: inaugura il suo nuovo Museo, mette mano al restauro di palazzo Bembo per le collezioni archeologiche, trasforma palazzo Crepadona in un centro culturale polivalente destinato ai giovani e ristruttura l’Auditorium nell’antico palazzo dei Vescovi-Conti.
I soggetti istituzionali coinvolti non nascondono un legittimo orgoglio: il Comune di Belluno, che da svariati anni porta avanti l’ambiziosa impresa, la Fondazione Cariverona, che finanzia il recupero dei due palazzi e Artico, la società che ha curato il recupero di palazzo Fulcis. Il tutto sotto l’egida di ben tre Soprintendenze, visto che durante gli scavi è emersa una necropoli longobarda con 13 tombe, i cui reperti saranno poi esposti a palazzo Bembo.
Il primo appuntamento è fissato per il 26 gennaio, giorno dell’inaugurazione del Museo in palazzo Fulcis, nobile dimora del Settecento tra le più pregevoli del Veneto, che diventa sede permanente delle collezioni civiche.
Per l’occasione si è pensato a un illustre padrino, figlio di quelle terre di montagna: Tiziano Vecellio, che torna a Belluno, dopo la mostra del 2007, con una singolare mostra-dossier incentrata sulla Madonna Barbarigo, uno dei quattro dipinti che Cristoforo aveva riservato agli eredi primogeniti, in quanto “per lui di assoluta eccellenza”, come scrisse Lionello Puppi. Il prestito si deve a Ermitage Italia, non meno che alla riconosciuta autorevolezza scientifica del conservatore Denis Ton.
Detto in cifre si tratta di oltre tremila metri quadrati di spazi espositivi distribuiti su cinque piani, di stucchi e affreschi settecenteschi che ornano saloni e alcove con pavimenti in seminato veneziano a motivi rococò. La valorizzazione del patrimonio civico guarda soprattutto agli artisti locali diventati celebri ben oltre l’orizzonte delle Dolomiti, come Bartolomeo Montagna, protagonista della rinascita del naturalismo in chiave mantegnesca, e Andrea Brustolon, che Balzac definì il “Michelangelo del legno”.
Il percorso non rinuncia alla coerenza storico-artistica, ma si articola in funzione di una complicità ambientale tra i singoli pezzi e la visibilità del palazzo, in modo da garantire ad entrambi la propria aura. In questo contesto si inseriscono anche le preziose collezioni di disegni e incisioni, le porcellane settecentesche della raccolta Zambelli, i bronzetti e le placchette rinascimentali della collezione di Florio Miari.
La stagione del Barocco e del Rococò vede il trionfo di Sebastiano Ricci e l’irradiarsi della sua fortuna in Europa. Le tre grandi tele realizzate per il Camerino d’Ercole di palazzo Fulcis, incastonate entro un ordito di stucchi bianchi e oro di Bortolo Cabianca, furono acquistate dal Comune di Belluno nel 1979 che in tal modo le salvò da un espatrio clandestino e innescò la scintilla da cui prese avvio la lunga vicenda del Museo.
Nel nuovo allestimento, curato da Ton insieme all’architetto che ha seguito il recupero del palazzo, Antonella Milani, sono collocate all’ultimo piano, in attesa di poter acquisire lo stesso Camerino, non ancora nella disponibilità del Museo.
Perno dell’intero ciclo è “La caduta di Fetonte” che, con i suoi quasi quattro metri di lunghezza, è un vero capolavoro di scenografica irruenza, con il corpo del giovane plasmato da una luce calda che precipita insieme al carro e ai cavalli: un’opera che Pallucchini definì «la prima prova veramente barocca del Seicento veneziano».
Tra i paesaggisti spiccano Marco Ricci e Giuseppe Zais, mentre di Caffi sono quattro vedute di Belluno e Venezia e una scena egiziana. Tra gli artisti del Seicento emergono Pittoni e Diziani, mentre nell’Ottocento la palma spetta a Demin e Paoletti.
L’ospite eccellente che corona l’evento bellunese, la Madonna Barbarigo, è accompagnata da due altre versioni dello stesso soggetto: una arriva dal museo di Budapest, ed è una replica dello stesso Tiziano, l’altra dagli Uffizi, ed è invece opera di bottega, tuttavia a lungo considerata autografa e come tale posizionata agli Uffizi a fianco della celebre Flora.
La Madonna dell’Ermitage viene considerata la capostipite di repliche e riprese di cui si conoscono una decina di esemplari con qualche variazione. Mancava dall’Italia dal 1850, quando venne acquistata dallo Zar, e arriva a Belluno dopo un accurato restauro durato due anni, che ha rivelato alcuni pentimenti, ripristinato la plastica luminosità degli incarnati e recuperato il magnifico azzurro oltremare del manto.
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi