Borghi: «Chiamatemi padrino così potrò dire di averlo fatto»
L’arrivo dell’attore romano tra passerelle e gesti di scaramanzia «Quando il direttore Barbera mi ha chiamato stavo tagliando le verdure»
Sì, i bauli con i vestiti ci sono; e c’è pure la passerella in solitaria, sebbene all’asciutto della nuova scalinata del Casinò. C’è anche il discorso autologo, lungo tre minuti e mezzo, e la trepidazione di un piccolo gesto scaramantico, dietro il velluto della Sala Grande del Palazzo del Cinema. Insomma, c’è tutto, anche se in versione irsuta e tatuata. Alessandro Borghi, 31 anni, attore di nuova generazione in “Non essere cattivo” di Claudio Caligari, “Suburra” di Stefano Sollima e “Il sogno più grande” di Michele Vannucci, due nomination ai David di Donatello, al Lido è l’incarnazione maschia del soave ruolo di madrina per il quale, tra le varie definizioni possibili - presentatore, show boy, valletto, velino - sceglie a colpo sicuro quella più cinematografica. «Chiamatemi padrino, così un domani potrò dire di aver fatto il padrino», dice, appena sbarcato in darsena all’Excelsior, maglietta beige, jeans, sneakers Gucci, le iniziali dei genitori sul braccio sinistro, quella del fratello sull’avambraccio destro e la gioia incontenibile di essere qui e ora.
Come ha saputo di essere stato scelto come padrino del festival?
«Ero a casa e stavo tagliando le verdure quando mi ha telefonato il direttore Barbera per chiedermi se avevo voglia di presentare la Mostra del Cinema».
E lei?
«Ho detto subito di sì. Ero felicissimo perché mi piace avvicinarmi a cose che non conosco e perché avrei avuto la possibilità di ritornare al Lido».
Come affronterà un ruolo tipicamente femminile?
«Senza problemi. La mia camera è piena di vestiti. E poi il cliché della madrina potrà sempre essere ripreso l’anno prossimo. Comunque mi fa una certa impressione sapere che sono il primo padrino della storia del festival».
Il discorso della serata inaugurale?
«Ne vado molto fiero. Inizialmente doveva essere lungo trentasei ore, poi l’ho ridotto a qualche minuto. Sarà un elogio al cinema, il mio amore. Ogni tanto ci scordiamo di quanto sia bello questo mestiere».
Che film ha intenzione di vedere?
«Vorrei vederli quasi tutti, e sicuramente non perderò Clooney, Aronofsky, ma nemmeno gli italiani “Il contagio” e “Brutti e cattivi”.
La sua prima volta al Lido?
«Sette otto anni fa, in occasione di un premio per un video con i Negramaro. Poi due anni fa con “Non essere cattivo”».
I suoi prossimi impegni?
«Subito dopo Venezia lavorerò nel film di Matteo Rovere “Il primo re” sulla fondazione di Roma. Gireremo per due mesi nei boschi vicino a Roma. E poi il film su Stefano Cucchi, che sarà una grande opportunità per mostrare quale può essere la funzione del cinema. Sicuramente non sarà un film furbo. Racconterà la storia di Stefano sotto molti punti di vista, anche sotto quello dell’abbandono. Dovrò dimagrire di quasi dieci chili».
Lei è protagonista anche di “Suburra-la serie”, prima produzione italiana per Netflix.
«Suburra è una cosa talmente nuova che siamo tutti curiosissimi di vedere come andrà. Quello che è certo è che uscirà in 190 Paesi».
Un consiglio a un giovane attore?
«Servono fortuna e impegno in parti eguali, ma anche essere molto sinceri con se stessi per capire cosa si vuole».
Il Lido è blindato.
«Personalmente non ho paura. Solo a Parigi, una volta, non ebbi il coraggio di entrare al Louvre né di andare in metropolitana».
Stato d’animo?
«Tranquillo, e non solo apparentemente. Per ora».
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