Il mistero del cacciatore Valmo custodito dai massi erratici di Mondeval

Archeologia e paesaggio si mischiano in un luogo affascinante: il racconto dell’archeologo Battiston

Mondeval. Al giorno d’oggi si arriva in questa meravigliosa prateria d’alta quota vestiti di tutto punto, con abbigliamento tecnico e materiali altamente performanti. Migliaia di anni fa, invece, la dotazione di chi transitava per Mondeval era molto più semplice: delle lame di selce, un arpione e della propoli rubata a qualche alveare. Ma lo scenario che si offre agli occhi dell’uomo moderno proprio come a quello del Mesolitico è pressoché intatto: una lunga prateria d’alta quota che si estende da forcella Giau fino alle pendici del Pelmo. In mezzo, alcuni massi erratici portati dalle glaciazioni e il bellissimo (e fotografatissimo) laghetto delle Baste. Benvenuti a Mondeval, tra San Vito e Selva di Cadore.



Il luogo che vi raccontiamo oggi non è solo affascinante dal punto di vista paesaggistico - fattore che ha spinto molti lettori ad inviarci foto proprio da questo luogo - ma anche ricco di storia. Per raccontarla abbiamo chiesto la collaborazione di Diego Battiston, archeologo, dell’associazione Trame di Storia che gestisce il museo Vittorino Cazzetta a Selva di Cadore. Lì, infatti, sono conservati i resti dell’uomo di Mondeval. Ed è solo grazie ad un fortunato mix di fattori che oggi possiamo vedere da vicino questo nostro antenato.



«Tutta la prateria è stata frequentata dai cacciatori e raccoglitori del Mesolitico» spiega Battiston, «a partire da 11.600 anni fa e fino a 7.500 anni fa, cioè fino all’arrivo dell’agricoltura nel Nord Est Italia». All’epoca il clima, spiega l’archeologo, era più o meno quello che attuale. «Il bosco lambiva la prateria di Mondeval, che era più o meno come la vediamo ora. Possiamo dire che, a differenza di quanto avvenuto in pianura con l’antropizzazione, qui abbiamo un paesaggio mesolitico intatto». I cacciatori dell’antichità si dedicavano soprattutto al cervo, che ha un nomadismo di corto raggio». In tutta la prateria di Mondeval sono riconosciuti più di 20 siti ma c’è un luogo particolarmente significativo, Mondeval de Sora. «Presenta degli aggetti naturali, dei ripari sotto ai quali l’uomo preistorico bivaccava» continua Battiston. Come tetto, la roccia dei grandi massi erratici portati dalle glaciazioni. All’esterno, una parete di legno e pelli. Ecco la casa dell’uomo di Mondeval, che ci ha lasciato tracce di pavimentazione, focolari, selce e resti ossei di animali che ci danno informazioni sulla dieta dei cacciatori-raccoglitori.





Non solo resti animali e bivacchi: proprio all’ombra del grande masso erratico è stata fatta un’importante scoperta archeologica. Nel terreno sotto al masso riposa Valmo, il cacciatore di Mondeval. «Si tratta della più importante sepoltura mesolitica dell’Europa centro meridionale» continua l’archeologo, «sia per lo stato di conservazione dei resti che per il ricco corredo di oggetti, oltre 70, che conserviamo al museo e che ci hanno permesso di capire molte cose sulla vita e sulla tecnologia di questi uomini». Le sepolture mesolitiche, spiega l’esperto, sono rarissime. A permettere a Valmo di arrivare fino a noi sono stati un mix di fattori: dalla scarsa antropizzazione del sito di Mondeval al posizionamento della tomba sotto il masso erratico di dolomia, che ha cambiato il ph del terreno permettendo la conservazione dei resti.



Una persona importante, uno scheggiatore d’esperienza. Valmo non era un comune cacciatore. «La sepoltura non era destinata a tutti» spiega Battiston, «era una persona importate, visto il corredo. Si tratta in gran parte di oggetti utili nella quotidianità - della colla a base di resina e ocra, della propoli saccheggiata in un alveare, i resti di trapano ad archetto, un raddrizzatore per frecce, un arpione usato come punta di fiocina, un palco di cervo e un corredo di oggetti proprio dello scheggiatore della selce, con tanto di pezzi di selce semilavorata - ma si intravedono anche le tracce di un rituale: gli sono state affiancate tre lunghe lame di selce gialla, due sulle spalle e una sulla nuca, segno di un rituale che però non riusciamo a ricostruire. Anche la causa della morte è un mistero: non ci sono tracce di ferite o traumi e aveva circa 40 anni, una buona età per l’epoca ma non tale da morire di vecchiaia. Stiamo facendo altri accertamenti, speriamo di scoprire nuovi dettagli sull’uomo di Mondeval». —


 

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