L’epopea degli zattieri rivive a Venezia: l’antica imbarcazione aprirà la regata storica

Nel 1921 l’ultimo viaggio da Perarolo verso la Serenissima. Realizzate in abete, pesavano tra le 15 e le 40 tonnellate

LONGARONE. Con l’arrivo del treno, nel 1921, è finita anche la stagione delle zattere. Ma secoli di trasporto, sul Piave, del legno delle Dolomiti non si dimenticano. Ed è per questo che a Codissago, frazione di Castellavazzo, è nato il Museo degli Zattieri del Piave, centro internazionale di studi sulla zattera, che ripercorre l’epopea di chi, giorno dopo giorno, ha rifornito la Serenissima del legname necessario ad armare la flotta ed a mantenere il dominio sui mari; ed anche tanti altri materiali preziosi.

La Fameja dei zater e menadàs di Codissago, in occasione dell’assemblea internazionale di fine agosto, ha realizzato una zattera che avrà l’onore di aprire, il 2 settembre prossimo, la regata storica di Venezia. Una zattera di venti metri per cinque (ma all’epoca ne facevano anche di 35 metri), costituita da tronchi in abete, assemblati con le corde e con un tavolame che verrà poi sovrapposto ai tronchi, così da rappresentare un notevole piano di carico, per le merci e per i moderni zattieri, chiamati a manovrare questo imponente manufatto. Il tutto realizzato dalla Segheria De Nes, una delle poche rimaste in provincia di Belluno.



«Noi», sottolinea il titolare Alberto De Nes, «riusciamo a segare 50 cubi giornalieri; in Austria abbiamo concorrenti che arrivano a segarne 1.500 al giorno e godono anche di contributi statali, senza parlare del minor costo dell’energia e dei trasporti. È chiaro che la concorrenza è impari. Comunque noi tiriamo avanti e rappresentiamo la continuazione di una storia davvero incredibile, se pensiamo che tramite il Piave gli zattieri di Codissago mandavano a Venezia fino a 3 mila zattere all’anno».

«Erano ben tredici», gli fa eco Franco Da Rif, il conservatore del Museo, «gli impianti dove all’epoca si segavano i tronchi: cinque a Perarolo, quattro a Longarone e altri quattro lungo il percorso fra questi due poli».

Quello dello zattiere era un mestiere duro e pericoloso, soggetto a naufragi e intemperie. Si alzavano alle due del mattino, andavano a piedi da Codissago a Perarolo; verso l’alba iniziavano a costruire la zattera, poi dovevano percorrere il tratto più pericoloso del fiume, da Perarolo a Castellavazzo, dove gli zattieri di Codissago consegnavano la zattera a quelli di Ponte nelle Alpi. Quindi le altre tappe portavano a Belluno (dove la zattera si fermava per una notte), a Falzè o Nervesa, poi a Ponte di Piave e infine a Venezia, negli “squeri” della Misericordia, di San Marco, di Rialto. Trasportavano pietra grezza e lavorata (proveniente dalle cave di Castellavazzo) ferro e carbone: tutto quello che Venezia richiedeva. Il peso variava da un minimo di 15 tonnellate ad un massimo di 40; e vi salivano anche persone e bestiame, ma solo dopo Belluno, perché il fiume era più calmo.



La zattera era condotta almeno da quattro zattieri, che potevano diventare anche diciotto in determinate situazioni, soprattutto se portavano tronchi da utilizzare per l’alberatura delle navi. Fino al 1921, appunto, quando, raccontano le cronache, è scesa l’ultima zattera lungo il Piave. Anche se poi gli squeri di Venezia non amavano il legname trasportato in ferrovia, perché arrivava secco ed era più difficile lavorarlo rispetto a quello che giungeva, come da tradizione, via acqua. –


 

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