Mogol: «Una canzone è bella se regala emozioni»

L’autore ospite al Teatro Comunale: «Ho iniziato a scrivere testi a 18 anni per 5 mila lire». «Un tempo a Sanremo c’erano i migliori. I talent? Ok, ma servono prof preparati»
JESSICA
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BELLUNO. C’era molta attesa per la serata che ha visto Giulio Rapetti - noto al grande pubblico con lo pseudonimo di Mogol -protagonista al teatro Comunale di Belluno . Una serata magica, quasi poetica, che ha svelato i retroscena di alcune delle canzoni italiane più conosciute e ha posto l’attenzione sul modo in cui è cambiato oggi il mondo della musica. Tra il pubblico tre generazioni diverse, figli, padri e nonni, quasi a sottolineare che alcune canzoni non hanno età e sono destinate a entrare nella vita delle persone con una facilità strabiliante.

Non appena è salito sul palco, Mogol è stato accolto con un applauso da fine spettacolo e ha strappato un sorriso al pubblico affermando: «Grazie di cuore. Io non suono e non canto, ma cercherò di rendermi utile in qualche modo spostando magari gli strumenti». E invece ha aperto immediatamente il suo scrigno di ricordi, alzandosi poco dopo dal divanetto che era stato preparato per lui e cominciando a camminare tra lo sconcerto del presentatore della serata, Andrea Cecchella, che ha dovuto inseguirlo sul palco per strappargli qualche risposta.

Mogol ha voluto precisare fin da subito che lui non è un “paroliere” «perché i parolieri sono coloro che fanno le parole crociate. Noi siamo autori. In inglese lyric writers». E ha poi continuato: «La musica ha un suo senso. Può avere un senso di tristezza, di gioia, di leggerezza. Per le parole è lo stesso. L’autore deve conoscere il senso della musica e rispettarlo. Io ho scelto di raccontare cronache di vita. Ho cominciato a scrivere canzoni a 18 anni perché mi dovevo guadagnare il pane. Ricevevo circa 5 mila lire a canzone. La vita però non è una fiction come vogliono farci credere. Noi viviamo vite diverse, certo, ma sono tutte simili perché proviamo gli stessi sentimenti di amore, odio, tristezza. Quindi le persone avvertono subito se c’è traccia di verità nelle canzoni».

Ciò che conta oggi è che una canzone riesca a entrare nel cuore della gente e vi rimanga. «Se una canzone è bella, è bella e basta», ha spiegato Mogol, «Ma deve dare emozioni. Oggi San Remo fa tanti ascolti, ma le canzoni non restano. Una volta c’erano 20 grandi artisti, oggi ci si chiede se quelli presenti lo siano o meno. I talent non sono sbagliati, se fanno successo ben venga, un motivo ci sarà. Non critico lo spettacolo, ma il fatto che facciano scuola. Se qualcuno decide di insegnare, occorrono docenti preparati. O si fa seriamente o non si fa».

È questo uno dei motivi per cui è stata aperto il Cet (Centro europeo toscolano), la scuola di Mogol, che cerca di formare giovani talenti attraverso i corsi di Musica, Parole, Interpretazione e in cui si insegna, appunto, a comporre musica, scrivere testi delle canzoni e interpretarli. Una scuola che, stando alle parole del suo fondatore, è stata resa necessaria «dal cambiamento del panorama musicale nazionale e internazionale. Il pop nasce con la romanza che si stacca dall’opera. Il cantante, una volta, era il tenore ed era tanto più bravo quanto più faceva sentire la sua voce. Oggi è il contrario, grazie anche ad autori come Dylan che, pur essendo grandi interpreti, hanno poco dei cantanti. Lo stesso Battisti fu bocciato dalla Rai perché ritenuto senza voce. Ma era la Rai ad essere in ritardo. Lucio comunicava. E il successo oggi è di chi canta e comunica le canzoni. Noi cerchiamo di insegnare questo, ma attenzione: prima l’uomo e poi l’artista. Se manca il primo, il secondo diventa pericoloso».

Ad accompagnare Mogol sul palco alcuni giovanissimi docenti del Cet: Gianni Barbera (piano e voce), Giuseppe Anastasi (chitarra e voce), Carlotta (voce) e Jessica Da Re di “Voice Care”. Sono stati proprio loro a chiudere la serata facendo cantare l’intero Comunale con un medley di canzone scritte tutte da Mogol: non solo i successi condivisi con Battisti come “Io vivrò senza te”, “Emozioni”, “Acqua azzurra acqua chiara”, “Anche per te”, “Mi ritorni in mente”’, “‘Il mio canto libero”, ma anche alcune canzoni scritte per altri grandi interpreti come Mina, Cocciante, Mango.

«Io non ascolto musica», ha concluso Mogol, «ho pochissimi dischi, chi mi conosce lo sa. Per me la musica è quando scrivo su una melodia. Ma ho tante altre passioni come il calcio e i cavalli. Un uomo è ricco in base alle passioni che ha. Sotto la doccia? Sotto la doccia canto parole oscene e urlo come un matto. Quando lo faccio mia moglie sa che sono felice. Ogni tanto bisogna lasciarsi andare e liberarsi del cervello».

La serata al Comunale ha aperto la quarta edizione del Festival “Il mio canto libero”, concorso musicale per artisti emergenti organizzato da Voice care, che si concluderà domani, sempre al Teatro Comunale, con l’assegnazione di una borsa di studio per il Cet.

Argomenti:musica. mogol

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