Quella diga crollata che i visionari bellunesi vedono su
Cari lettori, mettetevi l’animo in pace, togliete le dita indignate dalla tastiera dei vostri computer o dai telefonini: non c’è niente da fare. La diga è caduta, è stata distrutta quel 9 ottobre 1963. Non importa quante volte l’avete vista lì, bella dritta, ben piantata nelle rocce della valle del Vajont.
Non importa quante volte l’avete fotografata, dal basso, dall’alto, di lato, da sopra mentre camminavate sul coronamento perfettamente percorribile, l’unica parte rimasta un po’ sbrecciata 55 anni fa. Non importa quante volte vi siete trovati a guardare giù nell’orrido, in fondo ai 260 metri della sua altezza, per chi ci riesce, per chi non soffre di vertigini (mai guardato giù, infatti).
Non serve che abbiate bene in mente la diga del Vajont resistente a tutto, ad una frana di 260 milioni di metri cubi, precipitata in pochi secondi dentro il lago; alla forza dirompente della massa d’acqua di cinquanta milioni di metri cubi, trenta dei quali l’hanno bellamente superata, diretti come una freccia sul bersaglio di Longarone, a uccidere 1910 persone. Tutto questo non conta nell’immaginario collettivo italiano: la diga è crollata.
È diventato ormai un modo di dire, ben sedimentato nella mente di chi vive dal Fadalto in giù. Più o meno come “governo ladro” quando piove (e anche quando c’è il sole).
Ogni volta che la stampa nazionale e le televisioni si occupano di noi, della provincia di Belluno e dei suoi abitanti, che parlano del Vajont come delle Dolomiti, gli strafalcioni sono in agguato.
Arriva il presidente della Repubblica Mattarella, e arrivano gli inviati dei giornali nazionali e delle agenzie di stampa. E dunque ecco il risultato del giorno dopo, negli articoli e nei reportage: c’è chi ha scritto che la diga è crollata, chi ha scritto che è stata distrutta e c’è chi ha scritto (perfino) che il 9 ottobre 1963 c’è stata una alluvione.
Poi va anche detto che gli articoli sono belli, scritti bene, anche emozionanti, che i colleghi giornalisti sono bravi. Ma sono caduti sulla diga, come tanti altri prima di loro, retaggio di vecchi ricordi che arrivano direttamente dall’alba del 10 ottobre, quanto uscirono i giornali con le primissime e frammentarie notizie.
Nessun giornalista aveva potuto vedere nel profondissimo buio di quella notte cosa fosse davvero accaduto e l’idea iniziale era proprio quella, che la diga fosse crollata. Il giorno dopo i giornalisti arrivati a Longarone da tutto il mondo hanno testimoniato la realtà, correggendo il tiro. Ma tutto questo non è servito. Come non sono serviti oltre 55 anni di libri, racconti, processi, testimonianze, spettacoli da milioni di spettatori, visite illustri, dai presidenti della Repubblica in giù. La diga è crollata. Punto. —
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