Villaggio a Feltre, quelle fughe dall'ospedale per colazioni meno spartane

FELTRE. Se una mattina di primavera ti capita di incontrare Paolo Villaggio, prima non credi ai tuoi occhi (ma la locandina del giornale te lo conferma) e poi ti porti nella mente e nel cuore quell’incontro straordinario. Era capitato a Luigi Curto, alle sei di mattina, davanti al buffet della stazione, di aver appena letto la notizia del ricovero dell’attore al Santa Maria del Prato. Alza gli occhi e, quasi in simultanea, ecco Paolo Villaggio in carne e ossa. Erano i primi di aprile del 2003. Paolo Villaggio si era vestito in fretta per uscire dall’ospedale dove era ricoverato per disturbi del sonno nel reparto di Pneumologia diretto da Franco Maria Zambotto. Ed era uscito prima del cambio turno, in silenzio e senza inguaiare medici e infermieri, ché nessuno aveva visto niente. Era andato in cerca di un’innocente evasione dal café au lait che sarebbe stato servito di lì a poco, con il panino incellofanato, sul tavolino della stanza di degenza.

Era stata una fuitina disobbediente, quella che aveva portato l’attore al bar della stazione dove si era concesso un cappuccino come si deve e un paio di brioches appena sfornate. Ed è qui che c’è stato l’incontro. «Mi sono ripreso quasi subito dall’emozione iniziale», racconta a distanza di 14 anni Luigi Curto, «anche perché Paolo non era tipo da indulgere ai complimenti e ha tagliato subito corto con le commozioni e con le presentazioni. L’unica cosa che mi ha detto è che si trovava a Feltre perché la moglie aveva avuto un problema ortopedico ed era ricoverata al Santa Maria del Prato, e che lui aveva qualche ora da trascorrere in libera uscita. L’ho invitato a salire in macchina e l’ho scortato per la città. Mi ha chiesto di accompagnarlo in una pasticceria tipica e io l’ho portato da Garbuio, dove ha assaggiato più di una golosità, pregandomi poi di trascinarlo via che altrimenti, ha detto, non si sarebbe più fermato. Ha accettato di conoscere la mia famiglia, è venuto a casa, ha ammiccato a Giovanna, Mario e Anna. E poi mi ha chiesto: “Riportami in ospedale valà, che devo parlare con il primario ortopedico”. Gli sono stato grato di aver accettato i miei inviti. E porto sempre nel cuore quell’incontro fortuito e fortunatissimo».
Nel 2003, al ricovero di controllo, aveva accettato di incontrare i bambini della scuola di Foen che tutto hanno voluto sapere di lui, di Fantozzi e persino dei rapporti con la signorina Silvani. E poi lo hanno immortalato in un disegno dove si deve adattare a indossare il pigiama e ascoltare i consigli del dottore.
Prima del ricovero e dopo il ricovero, Paolo Villaggio alloggiava all’hotel Doriguzzi e mangiava, il più delle volte, alla trattoria Aurora. «Sedeva per mangiare e voleva un tavolo da solo, non dava confidenza ai commensali, perché altrimenti sarebbe rimasto sommerso dalle chiacchiere e dalle richieste di autografi», ricorda Maria Bettega storica gestrice della trattoria di via Garibaldi. «Noi stessi eravamo un po’in soggezione, soprattutto quando si alzava dalla sedia e veniva in cucina a vedere cosa gli stessi preparando. Sollevava il coperchio di pentole e padelle e mi chiedeva: “Cosa stai cucinando lì? ». Ma quando si avvicinava ai miei fornelli e alzava coperchi, l’atteggiamento nei nostri confronti era confidenziale, pareva di casa».
Ma anche Feltre, il Santa Maria del Prato e l’eccellenza della Medicina del sonno hanno lasciato un segno in Paolo Villaggio e nella sua famiglia. Al primario Franco Maria Zambotto è arrivata una lettera grata e affettuosa da parte dell’attore che elogia la competenza dell’équipe. E lo stesso fratello di Paolo, Piero Villaggio, già docente di ingegneria all’università di Pisa, aveva chiesto al primario di poter “catturare” ancora il congiunto paziente «per programmare un piano di interventi sanitari». «Aveva appena svestito i panni di don Abbondio dello sceneggiato televisivo e aveva in corso l’ingaggio per la serie Carabinieri, quando l’ho conosciuto io», dice il primario Zambotto. «Era un uomo riflessivo e attento alle altrui emozioni, aveva una spiccata voglia di vivere in maniera intensa e una grande capacità di riflessione sulla vita e sul senso dei valori della vita». Lo ricorda bene anche l’ex direttore generale dell’Usl di Feltre, Bortolo Simoni: «Uomo di grande intelligenza che sapeva scherzare sulla sua grande fame che non riusciva a controllare. Ricordo qualche sua scappatella al mattino presto per andare al buffet della stazione a mangiare qualche brioche. Cosa di cui poi si pentiva, scherzandoci sopra con fine autoironia».
Riccardo Drigo, attualmente primario di Pneumologia a Montebelluna, era il suo medico di fiducia: «Il mio era un rapporto strettamente professionale, da medico a paziente, iniziato quando ero all’ospedale di Feltre». L’attore era in vacanza a Cortina e approfittò della vicinanza geografica per un consulto con il prof. Drigo, già all’epoca noto per la sua esperienza nella diagnosi e nella cura dei disturbi del sonno, di cui evidentemente aveva sentito parlare molto bene. «Ci siamo visti quattro o cinque volte, sempre per problemi del sonno, indirettamente collegati con le patologie che soffriva da tempo. Più frequentemente invece ci siamo sentiti al telefono, ad esempio quando doveva sottoporsi a nuove terapie». «Villaggio», ricorda, «era molto affabile e cortese, insomma nessuna posa da Vip».
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