Lo sfogo di Elena Cecchettin sulle 75 coltellate di Turetta: «La sentenza, un terribile precedente»
La sorella di Giulia su Instagram dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza di ergastolo: «Fa la differenza riconoscere le aggravanti». Salvini: «Imbarazzante e vergognoso». Lo zio della vittima sulle parole dei giudici: «Affermazioni che mi creano disagio. Non vedo cosa c’entri l’inabilità di Turetta»

«Una sentenza simile, con motivazioni simili in un momento storico come quello in cui stiamo vivendo, non solo è pericolosa, ma segna un terribile precedente». Lo afferma in una story su Instagram Elena Cecchettin, sorella di Giulia, a proposito delle motivazioni della condanna di Filippo Turetta. «Se non iniziamo a prendere sul serio la questione», prosegue, «tutto ciò che è stato detto su Giulia che doveva essere l'ultima sono solo parole al vento».
Secondo Elena Cecchettin «fa la differenza riconoscere le aggravanti, perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno. Ma molto prima. E significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori.
Sapete cosa ha ucciso mia sorella? Non solo una mano violenta, ma la giustificazione e menefreghismo per gli stadi di violenza che anticipano il femminicidio», conclude.
Le parole di Elena su Instagram




Salvini: «Imbarazzante e vergognoso»
«Imbarazzante e vergognoso. Tutti ci stiamo impegnando per ridurre questi odiosi atti di violenza nei confronti delle donne. Dire che 75 coltellate non sono frutto di violenza ma di inesperienza è tragico. Spero si siano spiegati male, se fosse davvero così sarebbe drammatico. Se non bastano 75 coltellate a provare la violenza di qualcuno, andiamo veramente nel caos».
Lo ha detto il ministro dei Trasporti e leader della Lega Matteo Salvini rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano di commentare le motivazioni della sentenza Turetta.
Lo zio di Giulia
Lo sapevano che le aggravanti della crudeltà e dello stalking non erano state riconosciute. Però, leggerlo nelle 143 pagine della sentenza della Corte d’Assise che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo, per i familiari di Giulia ha un effetto dirompente.
Lo ha, soprattutto dal momento che i giudici hanno interpretato quelle 75 coltellate, inferte a Giulia Cecchettin, come sintomo di inesperienza e inabilità, più che di crudeltà. E per la sua famiglia è un dolore che si rinnova.
«Io rispetto la legge, ma mi sento enormemente a disagio» commenta Andrea Camerotto, lo zio materno di Giulia. «È la parola “inabilità” che mi fa sentire mortificato. Non riesco a capire come l’abilità o inabilità possa avere a che fare con un omicidio. Non si deve uccidere, e basta».
L’avvocato di Gino Cecchettin
La famiglia di Giulia aveva chiesto il riconoscimento delle tre aggravanti, invece i giudici di primo grado hanno ravvisato soltanto la premeditazione.
«Intanto, resta confermato un crimine straordinariamente lucido ed efferato, giustamente punito con l’ergastolo. Ma per noi le aggravanti sussistono e, in un eventuale appello, insisteremo perché vengano riconosciute» dice Stefano Tigani, avvocato di Gino, parlando a nome della famiglia Cecchettin, «La motivazione va letta attentamente per rispetto del lavoro della Corte e a questo principio ci atteniamo. Ma noi continueremo a sostenere le nostre ragioni. Andiamo avanti e le considerazioni che potremo iniziare a fare da ora non si limitano solo a questo processo. Anzi, questo processo merita di vedere anche nei successivi gradi la corretta qualificazione delle aggravanti escluse. E questa merita di essere l'inizio di una battaglia: quella per il riconoscimento della verità processuale. Battaglia che lo stesso Gino Cecchettin sta portando avanti, anche nel rispetto delle altre vittime».
Il furto della foto
Quanto allo zio Andrea, non ci sta. E su Facebook si lascia andare a uno sfogo: «Adesso ci vuole abilità per essere assassini crudeli. Ma resti crudele dentro, anche quando ti daranno permessi e sconti, un domani... E sempre. Fateglielo sapere».
Poi spiega: «Certo, sapevamo che durante e anche dopo il processo qualcosa avrebbe potuto ferirci, ma è veramente dura» dice, «Abbiamo sofferto anche per il furto della foto di Giulia, addirittura dall’altare della chiesa, solo una decina di giorni fa. E, come se non bastasse, l’uomo che l’ha rubata non ci ha nemmeno fatto arrivare un messaggio di scuse».
L’episodio era avvenuto nella chiesa di Saonara lo scorso 27 marzo, quando un settantenne di Verbania si era impadronito della foto di Giulia esposta su un altare. Ripreso prima dalle telecamere della chiesa e poi dalla videosorveglianza comunale, l’autore del furto è stato in breve tempo rintracciato dai carabinieri, ai quali ha consegnato la foto.
Differenza Donna
Sulle motivazioni della sentenza è intervenuta anche l’avvocata Ilaria Boiano di Differenza Donna: «Queste pagine ci restituiscono una fotografia nitida e drammatica della violenza sessista che ha portato alla morte di Giulia Cecchettin. Un femminicidio premeditato, a valle di un controllo costante e totalizzante, esercitato da Filippo Turetta nella relazione, anche dopo la sua formale conclusione».
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