Autonomia differenziata, il Milleproroghe rallenta la determinazione di Lep e fabbisogni standard
Il dibattito in Prima commissione regionale. Nel decreto statale si dà tempo fino al 31 dicembre per l’attività istruttoria dell’Autonomia. Favero (Lega): «Non basta una delegazione tecnica, serve anche la politica». La dem Camani: «Legge demolita dalla sentenza della Consulta. Si riparta da zero»

I tempi lenti del federalismo. Lenti, lentissimi. Così lenti, da essersi infilati nel decreto Milleproroghe, nel quale non poteva mancare un riferimento all’Autonomia. Anzi, una concessione: la proroga di un anno, fino al 31 dicembre, dell’intera attività istruttoria, per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – i famosi Lep – e dei relativi costi e fabbisogni standard.
Materia da dipartimento per gli affari regionali e le Autonomie, che pure è da oltre un mese – era il 18 febbraio scorso – che non convoca una riunione, per discutere delle materie da trasferire alla disponibilità delle Regioni.
Il Veneto, di questa riforma, è capofila. È la bandiera della Lega, ma all’interno della maggioranza mette d’accordo un po’ tutti. E infatti mercoledì 19 marzo è tornata protagonista in Consiglio regionale, nella sede della prima commissione, con una sorta di lectio magistralis del costituzionalista Mario Bertolissi, padre – per restare nel tema della festa di San Giuseppe – veneto della riforma. Accanto a lui, il segretario generale della programmazione regionale, Maurizio Gasparin, e il direttore dell’area Tutela e sicurezza del territorio, Luca Marchesi, chiamato a parlare soprattutto di protezione civile.
Che cosa è emerso? Che l’autonomia resta la priorità, per questa regione. Sì, ma con calma. Perché l’auspicio – stando alle slide proiettate dallo stesso Gasparin – «è che si possa giungere all’avvio del negoziato con il governo anche su ulteriori materie non Lep, a partire da organizzazione della giustizia di pace e previdenza complementare e integrativa», con un orizzonte temporale dei «prossimi mesi».
La seduta di mercoledì – aperta a tutti i consiglieri regionali e partecipatissima – è durata più di tre ore. Cominciata con un intervento di Marzio Favero, durissimo con la sentenza della Corte Costituzionale: «Ha ridotto il trasferimento dell’Autonomia a specifiche funzioni, da giustificare sul piano della diversità territoriale. E rilanciato la partita dei Lep, sorta di tela di Penelope, ipotizzati senza tener conto delle risorse reali». E poi, dice Favero, «le rivoluzioni non le hanno mai fatte i giuristi». Ma, piuttosto, la politica: «Ho proposto che la delegazione tecnica sia affiancata da una politica espressione del Consiglio».
In futuro, casomai. Mercoledì i passaggi dell’Autonomia sono stati spiegati dai tecnici: Bertolissi, Gasparin e Marchesi. Seguiti dagli interventi di larga parte dei consiglieri: da Luciano Sandonà, presidente della commissione, a Francesca Scatto, da Stefano Casali (FdI) a Vanessa Camani (Pd). Ognuno dalla sua parte.
«Il percorso autonomista non si ferma – ha scandito Sandonà – La politica deve fare la sua parte e riappropriarsi del ruolo che le è proprio, ossia analizzare in maniera fattiva lo stato di fatto e prendere le decisioni conseguenti, perché non è più pensabile che le grandi questioni che riguardano il “sistema Paese” vengano sempre discusse e affrontate in maniera astratta, senza mai scendere nel concreto. L’autonomia – ha aggiunto il consigliere – è stata chiesta dai veneti nel 2017, quando hanno risposto in maniera massiccia alla chiamata di popolo attraverso il referendum: da allora alcuni passi sono stati fatti, ma il percorso deve continuare. E sarà compito della Prima commissione dell’assemblea legislativa veneta riprendere in mano le redini e offrire il proprio contributo al dibattito».
Da qui, l’impegno di dedicare le prossime sedute della commissione all’analisi degli sviluppi della riforma. Pochi, ultimamente, come lamentano i leghisti stessi, che, ricevuta la notizia dello stop al referendum chiesto dal centrosinistra e da diversi sindacati, si sarebbero attesi l’accelerazione decisiva sulla riforma. Venendo poi smentiti dalle convocazioni, piuttosto rade, del ministro Calderoli, forse vittima delle diverse priorità dei Fratelli alleati.
In ogni caso, di Autonomia, in Veneto, si continua a parlare. E la promessa è che iniziative come quella di mercoledì vengano organizzate ancora, nella sede della Prima commissione. «È certamente positivo l'avvio del confronto – commenta Vanessa Camani, capogruppo del Partito Democratico, che nella riunione di ieri ha tenuto banco con il suo discorso, per quasi mezz’ora – Ma dalla relazione del professor Bertolissi emerge un impianto ideologico che non convince, perché nega nei fatti la fondatezza del pronunciamento della Corte» l’accusa della capogruppo dem.
«Abbiamo profondo rispetto di Mario Bertolissi, ma qualsiasi confronto non può che partire da quanto sancito dalla Corte con la sentenza 192/2024 e dal suo carattere profondamente demolitorio della legge 86. Affermazione questa, cui lo stesso professore fa richiamo proprio nel suo ricorso alla Consulta contro il referendum proposto. Se non viene colta la necessità di un ripensamento del modello di autonomia smontato dalla Corte, il Veneto è destinato a rimanere impigliato in un nulla di fatto per altri lunghi anni e ancorato a un ruolo marginale. La Costituzione riconosce pienamente il regionalismo e la differenziazione regionale. Ma questo percorso va fatto archiviando la Legge Calderoli e riprendendo da capo la strada».
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