Primavera nel piatto, lo chef Raffaele Ros: «Come valorizzare colori e sapori»

Lo chef stellato Raffaele Ros del ristorante San Martino a Scorzè celebra la primavera con il piatto "Orto in evoluzione", una sinfonia di verdure fresche e fiori selvatici: ecco svelati i suoi ingredienti

Costanza Valdina
Un piatto del San Martino
Un piatto del San Martino

Per Raffaele Ros, chef del ristorante stellato San Martino a Scorzè, la primavera non è solo una stagione da celebrare, ma una rinnovata occasione d’incontro con la natura. «È verde, gialla, bianca», riflette, «è la rinascita del terreno».

In cucina tutto ha un suo tempo e per restituire un sapore autentico è necessario affidarsi al ritmo della terra. Proprio come nella sua proposta “Orto in evoluzione”: un’istantanea vegetale che si evolve con l’alternarsi delle stagioni.

«Questi giorni il finocchio è il protagonista del piatto», spiega, «iniziano anche ad arrivare i primi piselli e gli asparagi di campo. Presto si aggiungeranno le fragole. A coda dell’inverno, broccolo romano e cavolfiori. Non manca il croccante: farro o riso soffiato, topinambur tostato per richiamare il calore degli ultimi focolari, spicchi di carciofo crudo e qualche germoglio di tarassaco. Poi una manciata di erbe aromatiche: germogli di finocchietto selvatico, origano e maggiorana, i primi accenni di lippia, qualche fogliolina di menta fresca. A completare un filo d’olio aromatico e una kombucha di tè verde».

Fiori ed erbette

Un detto veneto ricorda che «ogni erba che varda in su la ga la so virtù». È innegabile che ogni pianta spontanea custodisca proprietà benefiche, ma è fondamentale avere una certa esperienza nella raccolta, sempre più conosciuta come “foraging”.

«È una pratica ormai diffusa in tutto lo stivale», spiega Ros, «nel nostro territorio l’arrivo dei bruscandoli, segna l’inizio della primavera. Poco prima cominciano a spuntare i carletti, la silene ed il tarassaco. Poi ci sono i profumi del geranio di San Roberto, del finocchietto selvatico, dell’erba cipollina e del lamio. Per i più esperti, è possibile ancora trovare il pungitopo e la coda cavallina».

La raccolta è questione d’esperienza, ma anche di fortuna. «Se s’incappa nella giornata giusta, è possibile raccogliere qualche mezzo chilo di erbe in un paio d’ore», confessa, «un occhio esperto sa come individuare i turioni nascosti».

Asparago

Bianco o verde, l’asparago è da sempre considerato un ortaggio nobile. «Per lungo tempo è stato interpretato nella sua forma più essenziale: lessato, con cottura lenta o rapida, e condito semplicemente con olio, pepe e un filo di aceto», spiega, «proposto accanto alle uova nel periodo di Pasqua».

In Veneto, il bianco domina la tradizione. Ma nell’ultimo decennio il verde si è fatto largo, rivalutato per la sua versatilità. «Oggi si gusta in nuove forme: concentrati, succhi freschi, creme», spiega, «il turione, la parte carnosa, regala croccantezza con una cottura veloce, ma richiede tempo per una consistenza vellutata. In alternativa, basta lasciarlo crudo in acqua fredda e affettarlo finemente per donare freschezza alle insalate». In cucina non si spreca niente.

«Con la parte che viene pelata si può ottenere un brodo leggero», suggerisce, «mentre quella centrale, più coriacea, può essere ridotta in un pesto come fondo per la pasta o per il risotto».

Carciofo

Secondo tradizione viene gustato con un filo d’olio e una macinata di pepe. Gli orti in cui germogliava erano sparsi in tutta la laguna: dal Lido, a Torcello, fino a Sant’Erasmo.

«È una pianta resistente: ha attraversato secoli di storia e si è adattata alla terra salmastra», osserva, «dalla salinità del suolo e dell’aria ha ottenuto la sua sapidità distintiva».

Oggi si presta ad interpretazioni che vanno ben oltre la semplice bollitura. «Nella cucina contemporanea lo si scompone», spiega, «se ne estrae il cuore per friggerlo oppure se ne ricava un purè profumato dalle foglie di scarto».

Al Ristorante San Martino viene proposto cremoso all’interno di un tortello di pasta di patata condito con un crema di olio e burro, completata con prezzemolo e basilico spezzati a mano.

«Dalla seconda acqua di cottura si può anche ottenere una melassa, una sorta di Cynar naturale», aggiunge, «adatta a rinforzare il gusto di un’insalata o di una crema di pesce».

Piselli

Nella tradizione contadina, i bisi (come si chiamano in dialetto) venivano utilizzati nelle minestre, con il riso oppure per completare piatti a base di carne.

«Il legume era sempre a servizio del piatto principale», sottolinea, «col passare del tempo, però, la sua interpretazione è cambiata. Può diventare un gelato fresco o una cremosa vellutata. Dal baccello si può estrarre una crema densa e profumatissima. C’è chi ne fa perfino una crema fritta, croccante ed aromatica».

Di certo, non siamo più nel territorio dei semplici risi e bisi. Eppure, anche nella sua versione più classica, mantiene il suo perché.

«Può essere proposto secondo tradizione come contorno veloce, pronto in pochi minuti», ammette, «conserva ancora il sapore dell’infanzia e del divertimento dei bambini nel rincorrere con la forchetta le piccole palline verdi nel piatto prima di addentarle». 

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