«Stop al reddito del montanaro: i soldi vanno spesi per dare servizi»
Anna Giorgi: «Le risorse non vanno sprecate in nuovi skilift, puntate piuttosto sulla formazione al mondo del lavoro»

«Basta con l’assistenzialismo, anche in montagna. Le poche risorse disponibili non vanno sprecate in nuovi skilift dove non nevica più o in nuove piste ciclabili, ma nella formazione al lavoro, nella promozione di attività lavorativa e soprattutto nei servizi essenziali». Lo afferma Anna Giorgi, dell’Università di Edolo, Unimont, che domani pomeriggio illustrerà ad Agrimont, in Fiera a Longarone, il “Libro bianco della montagna”, uno studio che esplora le caratteristiche ambientali e territoriali, socioeconomiche e di governo dei territori montani italiani, analizzati regione per regione.
La montagna veneta, quella bellunese in particolare, si lamenta perché il fondo Fosmit mette a disposizione solo 200 milioni in ambito nazionale e non più di 10 milioni in regione. Poco più dicono, di un’elemosina.
«Certo, con 200 milioni non si fanno grandi sogni. Tanto meno con 10. Però intanto bisogna selezione i Comuni veramente montani. Non è possibile che il 60% del territorio italiano sia da considerarsi di montagna, perfino una parte di Roma. Quindi occorre restringere il cerchio d’azione. Ma è anche vero che non si può pretendere che venga finanziato ogni progetto, dalla pista ciclabile al parco, fino allo skilift. Basta con la mano tesa. È vero, senza soldi non si fa niente o si fa poco, ma immaginare che ti arrivino solo perché sei in montagna, non va bene».
Trova che ci sia ancora troppo assistenzialismo?
«Certo che si. Sento alcuni contadini che minacciano di chiudere le stalle in montagna se non disporranno dell’indennità compensativa. Ma non può essere l’incentivo che motiva un allevamento. Vuol dire fare un lavoro che non si riconosce degno. In montagna è stato sprecato un sacco di denaro».
Quindi, secondo lei, soldi ne arrivano?
«Certo che si. A volte succede che c’è un fondo a disposizione e si tira fuori dal cassetto l’ultimo progetto, purchessia, per approfittarne. Ma senza una visione, senza una progettualità di futuro chiara. E con la consapevolezza di perseguire questa visione di futuro in maniera continuativa».
C’è la tendenza ad individuare le terre alte come turismo ed agricoltura…
«Ma è un errore strategico. L’impresa dove la mettiamo? Vediamo proprio Belluno. E poi, il commercio, il terziario avanzato».
Qual è, dunque, il messaggio del Libro Bianco?
«C’è bisogno di attenzione in un quadro strategico non di assistenzialismo, perché date le opportunità oggi di creare valore, le montagne possono essere una piattaforma di grandi utilità per mettere a terra nuove modalità di erogazione di servizi, di produzione di valore. E quindi di circuiti economici che consentano alle persone di rimanere sui territori».
Per restare appunto in montagna, che cosa è indispensabile fare?
«Se l’obiettivo è il willderness va bene così, lasciar procedere lo spopolamento. Se invece l’obiettivo è opposto, bisogna fare due cose due: lavoro qualificato, quello cercato dai giovani, e servizi, anzitutto quelli primari, cioè la salute, l’istruzione, mobilità e connessione. Quindi un bel piano strategico sulla telemedicina piuttosto che sulla formazione e l’aggiornamento professionale».
Come si sta facendo con Confindustria e altri in provincia.
«Sono le chiavi di successo nel lavoro. Tutte queste cose dovrebbero essere oggetto di una strategia specifica per le aree montane. Quindi occorrono investimenti, basta col fare carità, che oggi, tra l’altro, non ci possiamo più permettere. Metto un euro per portarne a casa 5, come faccio? Questo il ragionamento. Le energie devono arrivare anzitutto dal contesto, dalle persone che stanno in montagna e intendono restarci».
Senza per questo chiudersi nel loro recinto.
«Appunto. Noi con l’Università constatiamo che ci sono tanti giovani pronti ad intraprendere, a fare in presa, ma trovano difficoltà a mettere a terra il loro sogno imprenditoriale. Anzitutto per la frammentazione del fondo. Manca perfino un data base dove siano riportate le superficie e gli edifici abbandonati. La cosa drammatica è che noi, nel terzo millennio, abbiamo l’Intelligenza Artificiale e non siamo capaci di mettere ordine nelle cose banali».
Traduzione.
«Un giovane che vuole intraprendere dove può informarsi sui terreni liberi o sulle case da ristrutturare a Belluno? E per quanto riguarda l’accorpamento fondiario, perché non si fa niente anche se è la prima necessità individuata?».
L’intervento della professoressa Giorgi sarà uno dei perni di Agrimont.
Il programma di Agrimont
Sabato 15 marzo e domenica 16 marzo, e dal 21 al 23 marzo, l’agricoltura in pendenza avrà come capitale Longarone Fiere Dolomiti. Agrimont sarà il punto di riferimento per aziende agricole e hobbisti, con un vasto programma di esposizione di mezzi, prodotti per il giardinaggio e il florovivaismo, momenti di approfondimento tecnico. Ci saranno 248 marchi aziendali: 198 provenienti da 13 regioni italiane e 50 da 13 Paesi esteri. Tra i primi momenti di riflessione, quello sulla sicurezza nel lavoro agricolo. Sabato alle 9 verranno presentati i dati Inail per la provincia di Belluno, con un focus sugli interventi di soccorso negli infortuni. A mezzogiorno l’inaugurazione della kermesse. Il primo weekend avrà un taglio forte sulle peculiarità della montagna con l’apicoltura protagonista. Domenica 16 Apimarca presenterà (alle 10) un convegno sulla conduzione degli apiari, con Franco Asioli, esperto nella produzione di miele biologico. All’ora di pranzo (13.30) l’attenzione si sposterà sull’allevamento delle api regine. Ma ci sarà spazio anche per la filiera del latte, con un convegno sulle produzioni da latte crudo (domenica 16 alle 10.30, a cura di Arav e Coldiretti Belluno). Sempre domani a partire dalle 10 Crea proporrà per le scuole un laboratorio su ciclo biologico, prodotti, e fisiologia del baco. Domenica 16 a partire dalle 10 il Cantiere della Provvidenza e la Rete di impresa Bachicoltura Setica.
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