La monotonia della maglia rosa
Pogacar costretto a vincere anche in Val Gardena. “Mi spiace per Pellizzari, ma ha fatto una grande gara”. Tappa accorciata per neve
SANTA CRISTINA IN VAL GARDENA. Uno, due, tre, quattro, cinque. Conta le tappe vinte (finora) al Giro, sorride. Poi aspetta che arrivi uno splendido Giulio Pellizzari (Bardiani), 20 anni marchigiano come Michele Scarponi, giunto secondo, e che era stato costretto a raggiungere e superare. Lo abbraccia, si scusa per avergli tolto il successo di tappa, l’altro gli chiede gli occhiali e cosa fa? Incurante del freddo cane, che i corridori avevano preso per tutta una tappa tagliata a causa del maltempo, si è spogliato della maglia rosa e gliel’ha donata.
Questo è Tadej Pogacar. Dominatore del Giro d’Italia che martedì, sulla rampa finale del Monte Pana, con la pipa in bocca, dimostrando se ce ne fosse bisogno, una superiorità colossale sugli avversari, ha vinto la sua quinta tappa.
Dopo Oropa, Perugia, Prati di Tivo, Livigno, in Val Gardena Re Taddeo trionfa ancora.
Avrebbe voluto passare una giornata tranquilla, si fa per dire visto il maltempo, lo sloveno della Uae, ma il gruppo dei migliori la fuga da lontano partita dal mattino, con un grande Julian Alaphilippe (Saudal), il solito Mirco Maestri, ma anche Cristian Scaroni (Astana) e appunto baby Pellizzari, che si era visto in avan scoperta anche nella tappa inaugurale di Torino, non l’ha lasciata andar via.
A quel punto sulle dure rampe che portano al Ponte Pana, due km dalla fine, la maglia rosa è andata a prendersi la vittoria. Non uno scatto, un allungo. In maniche corte e pantaloni lunghi. Giocando con gli avversari, quasi costretto a rovinare la festa a Pellizzari, finito sedcondo a 20 e 6 mesi, più giovane dal 1981 quando Moreno Argentin vinse a 20 anni e 5 di mesi.
Dietro? Le due rampe le hanno pagate con 49” Geraint Thomas (Ineos) e Ben O’Connor (Decathlon), secondo e qusarto della graduatoria. Bene, invece, Dani Martinez (Bora), terzo e che punta dritto al secondo gradino del podio a Roma e Antonio Tiberi (Bahrain), risalito a 2’29” dal terzo. «Intanto volevamo lasciare andare via la fuga – ha detto il padrone di Giro – ma quando la Movistar ha deciso di attaccare ci siamo detti che a quel punto ho dovuto attaccare», ha detto Re Taddeo. Ancora spettacolo, dunque, nonostante i soli 120 km di corsa. La pioggia, con Adige e Isarco incrociati sulla strada ricolmi d’acqua, il freddo, anche la neve ad alta quota. Ma lassù, sul Foscagno e l’Umbrailpass, i corridori non ci sono mai saliti ieri.
Niente equilibrismi: ci esponiamo: secondo noi giustamente. Ieri mattina a Livigno pioveva a dirotto, le condizioni meteo erano proibitive. Ad alta quota peggio, con fiocchi di neve abbondanti.
I corridori hanno chiesto di non affrontare le prime due montagne della tappa. La direzione del Giro li ha accontentati chiedendo loro di partire per una dopzzina di km da Livigno per accontentare i tifosi presenti.
Ma, mentre il sindaco, era pronto con l’ombrello per sventolare la bandierina del via, gli atleti sono rimasti in ammiraglia e hanno raggiunto, non senza i musi lunghi dell’organizzazione per il dietrofront, la nuova partenza in alta Val Venosta attraverso il tunnel e la val Mustair. «Sarebbe stato complicato e pericoloso e logisticamente complicato partire e poi fermarci subito», si è giustificato Pogacar.
Vero, i nostalgici della tregenda del Bondone, del Rolle e del Gavia, o dello Stelvio di 10 anni fa, quando i corridori furono in balia della neve, inorridiranno alle nostre righe. Ma i tempi sono cambiati. Semmai ai corridori, per il rispetto dei tifosi anche ieri presenti a Livigno nonostante il maltempo, sarebbe costato poco fare quella passerella, salire in auto, cambiarsi e ripartire due ore dopo. In fondo, il carrozzone sta in piedi proprio grazie a loro.
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