Milan, remuntada ciclamino
Ha avuto un guaio meccanico a 9 km dalla fine, riesce a rientrare con rabbia e perde solo da Merlier. È un finale thrilling di una corsa meravigliosa: la magnificenza di Roma per la festa grande di Pogacar
Spettacolo al Giro d’Italia. Fino agli ultimi chilometri. E non poteva che essere così in una corsa dominata da uno dei più forti ciclisti di tutti i tempi, Tadej Pogacar. Passerella finale? Sì, vero, foto per tutti all’Eur, inno di Mameli, Prosecco che gira in gruppo. Ci sono da fare 120 km, una passeggiata, ma una volta entrati nel circuito di Roma, da ripetere 8 volte, la corsa si infiamma.
C’è una volata da vincere ai Fori Imperiali. Prima, il gruppo, per quei nobili gesti che sanno fare i ciclisti, dà via libera per una passerella al quasi 42enne Domenico Pozzovivo (Bardiani). Poi si va. A sessanta all’ora quasi, tornata dopo tornata, mentre la tv mostra Roma a tutto il mondo. Un ripassino val sempre la pena.
C’è lo sprint in arrivo, meno 15 km, meno 10 km, il friulano Jonathan Milan è lì a pregustare una volata per il poker. La sua Lidl Trek è pronta a pilotarlo. Ma, mentre il gruppo lanciaro a sessanta all’ora ha appena superato il traguardo e ha suonato la campanella dell’ultimo giro, ecco la sfortuna. Milan è accanto alle transenne: braccio alzato a chiamare l’ammiraglia maledettamente troppo dietro. Catena rotta, d’una bici color ciclamino fatta apposta dalla Trek.
Arriva il meccanico, il velocista riparte. Col monocorona 56 denti davanti ripartire sul pavè è già un’impresa. Lui va oltre con la determinazione del campione. Si mette a velocità di crociera, come quanto fila via su pista. Prende la scia delle ammiraglie, la sua di ammiraglia lo fa volare a 70 all’ora. Una rincorsa partita con 48 secondi di ritardo si concretizza meno di 5 km dopo. Ciondola con la testa Milan, esausto, l’acido lattico gli ha invaso le gambe. Ma il suo team si compatta, c’è il treno, Simone Consonni lo lancia in volata. Solo che Tim Merlier (Soudal), fino all’ultimo km con la pipa in bocca in gruppo, lo anticipa e lo batte. Quarto secondo posto in questo Giro per il Toro di Buja dopo Fossano, Napoli, Padova. Come un anno fa, solo che quest’anno il campione di Buja ha messo a segno tre successi. E, soprattutto, è stato uno dei personaggi di questo Giro: per i trionfi, la potenza, la maglia ciclamino onorata fino all’ultimo. Fino a quell’ultima, rabbiosa, rimonta. Culminata con il secondo posto.
Persino il Var, che da qualche anno c’è anche nel ciclismo, che ha voluto vederci chiaro su quella scia prolungata presa dietro all’ammiraglia, ha chiuso un occhio.
Era deluso Milan, proprio come a Padova quando aveva perso la ruota del suo treno e aveva recitato il mea culpa. Ma questo secondo posto è davvero molto diverso e sa di consacrazione. La giornata storta si chiude sul podio accanto all’arco di Costantino (che surclassa anche quello di Trionfo del Tour) con la bottiglia di Prosecco che gli sfugge dalle mani. Ma il sorriso al velocista azzurro fa presto a tornare. Da inizio tappa alla fine, invece, come del resto quasi sempre, non ha mai smesso di sorridere il vincitore del Giro. Si coccola la sua Urska il fuoriclasse di Komenda, paese che da ieri ha i cartelli in rosa. «Da bambino sognavo una gara così. E spero che questo sogno non finisca». Sul podio riceve il Trofeo Senza Fine dal presiedente del Consiglio, Giorgia Meloni. Si dice abbia chiesto di tornare già il prossimo anno Re Taddeo.
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