Lele Gottardo, il batterista che suonò con Ray Charles
Cinquantanove anni, di Torreglia, con la sua band fece da apripista al re del soul: «Un autentico fenomeno, capace di rifare al piano un nostro pezzo dopo un solo ascolto»
Come in una delle canzoni più famose degli Eagles, ’’One of These Nights’’, ovvero’’Una di queste Notti’’cantata dal batterista Don Henley, cantante e co-fondatore di una delle band che ha fatto la storia del country-rock.
Le notti magiche del batterista Emanuele Gottardo e del suo gruppo di allora, i Microdisco, sono datate 1991. Loro, in pratica, facevano da apripista per i concerti italiani di Ray Charles, il re del soul.
Due mesi di sold out sparsi nella Penisola, a tutte le latitudini: dal Forum di Assago, al Palasport di Torino, dal Sistina di Roma, al Petruzzelli di Bari, ma anche Padova e Trieste. Ricordi e aneddoti di una tournée storica e irripetibile.
Gottardo, che ricordo ha di Ray Charles?
«Uomo carismatico, davvero unico alle tastiere: uno come lui non l’ho più incontrato. L’orecchio era la sua vista. Dopo un paio di settimane che noi aprivamo i suoi concerti, ci ha sorpreso».
Come?
«Beh, intanto ci volle conoscere tutti e 11 noi del gruppo. E ci chiese: mi piace un sacco il secondo pezzo che suonate. Siamo rimasti sorpresi ma gli abbiamo detto: scusi Maestro, quale pezzo? Non facciamo cover, ma eseguiamo pezzi del nostro repertorio. E lui alla tastiera suonò la nostra canzone fatta una paio di serate prima. Incredibile. Come quella volta che durante le prove a Trieste, la sua band era composta da 15 musicisti, fermò il trombettista, dicendogli che era entrato troppo in anticipo nel pezzo. Proprio come nel film The Blues Brothers, 11 anni prima. Insomma, un autentico fenomeno».
Ma non solo in quell’occasione.
«Già, spesso veniva a sentire le nostre prove, come quella del Forum ad Assago: lui da una parte e la PFM dall’altra. Io non me n’ero accorto e quando me lo hanno fatto notare ho avuto un blocco completo per un interminabile minuto: d’altronde, avevo 26 anni. Ma alla fine tutto ok, con i complimenti pure di Franz Di Ciocco, batterista della Premiata Forneria Marconi».
Per Lele Gottardo cos’è la musica?
«Una forma di espressione che amo fortemente e che ha un potere meraviglioso».
Quale?
«Un balsamo che riesce a farti superare anche i momenti più difficili. Mi riferisco anche a uno degli ultimi concerti con una mia band a novembre. Rigenerante. Dico questo per il semplice motivo che noi non eseguiamo mai tribute, ma suoniamo solo le nostre canzoni: per questo la ritengo arte pura».
Il più grande batterista della storia?
«Ringo Starr, senza ombra di dubbio. Al di là che porta stupendamente gli 84 anni che ha, ne dimostra almeno 25-30 in meno. Lui ha sempre suonato in funzione della musica. Lo ha fatto sia nei Beatles che in seguito. Per questo lo ritengo il più grande di tutti: sa mettere le cose giuste al posto giusto. Sembra facile, ma non lo è: lo posso assicurare».
Starr a parte, quel è il suo podio tra i batteristi?
«Sono tre: due americani, Steve Gadd, soprattutto di jazz, principe indiscusso della batteria e Vinnie Colaiuta, performance devastante, uno britannico, Gavin Harrison, specializzato in progressive metal e rock progressivo».
Lei è anche insegnante di musica, giusto?
«Per 35 anni ho seguito i ragazzi che volevano imparare questo strumento bellissimo nelle scuole di musica tra Padova, Abano e Torreglia».
Lele è soddisfatto di Gottardo?
«Come potrei non esserlo? Questo grazie anche alla mia compagna Sabrina. E sono pure diventato nonno da un paio di mesi: mia figlia Caterina mi ha regalato Elia».
Va bene il lato umano, ma quello professionale?
«Va di pari passo. Faccio ancora concerti, con alcune band».
Scusi, ma quante ne ha?
«Almeno tre. E posso garantire che mi diverto un sacco. E finché ho questo spirito perché dovrei appendere le bacchette al chiodo? No, non ci penso proprio».
Lei si definisce artista, perché?
«Non solo musica, naturalmente. Ho scritto due libri: Il Pianto della Farfalla (edito da Atro Mondi Editore, ndr) e Scatoletta di Tonno: diario di un single negli anni della crisi (Il Mio Libro Edizioni, ndr). La mia compagna e futura moglie Sabrina mi sprona a nuove iniziative».
Il sogno futuro, dunque?
«La realizzazione di un cortometraggio, ma per ora c’è solo la sceneggiatura. Sto pure scrivendo il terzo romanzo dal titolo provvisorio Tomorrow Never Comes. Ma anche quattro dischi registrati, di uno dei quali sono autore dei testi e coautore delle musiche, dal titolo Strani Eroi, pubblicato nel lontano 1996. In cantiere ce n’è un quinto per un cantautore padovano, Diego Longhin, con lui e una band di spessore abbiamo arrangiato i pezzi scritti dallo stesso Diego».
Insomma, un Gottardo a tutto tondo.
«Guai fermarsi e vivere di soli ricordi. Un artista non deve mai accontentarsi, altrimenti cade nell’oblio».
Tornando a Ray Charles, il suo ricordo personale?
«Semplicemente magnifico. E non solo per le sue famose canzoni come Hit the Road Jack, Seven Spanish Angels o Georgia. Mi riferisco soprattutto all’uomo: unico ed essenziale».
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