Su quel corpo fissò il suo punto di non ritorno

Il racconto d’autore firmato Fulvio Luna Romero. «Una sola cosa Alberto avrebbe voluto: trovare il killer che aveva freddato Enrico

Era tutto nitido nella sua mente: il piazzale, i bossoli. Di Linda, solo un’immagine»

Fulvio Luna Romero

Si può definire morbido un rumore?

Perché qui tutto è morbido. Morbide le suole, morbido il pavimento, morbidi i colori, morbida la luce.

Questi uffici dei piani alti, tutti uguali, ovattati e delicati, mi hanno sempre messo soggezione.

Le mie suole non fanno rumore mentre, accompagnato da due dei miei uomini, con accanto Linda, la mia più stretta collaboratrice, vado verso l’ufficio di colei che qui chiamano solamente “La Dottoressa”.

Ho una camicia bianchissima, stirata e inamidata

Ho una camicia bianchissima, stirata e inamidata. Ecco, la camicia non è morbida e mi conferisce quell’aria di… di non so che.

Ho i capelli un po’ in disordine e la barba andrebbe regolata, ma ci penserò.

Arriviamo davanti alla porta, aperta. All’esterno una targhetta dice “D. ssa P. Toldo”. Lei è seduta, austera nel suo tailleur, con gli occhiali appoggiati sulla testa a tenerle indietro i capelli.

È considerata molto brava. Ci ho avuto a che fare qualche volta, e l’ho trovata gentile e disposta all’ascolto, ma abbiamo sempre avuto idee diverse.

Ci accoglie con un sorriso e ci invita sedere. Linda e io ci accomodiamo, mentre i miei due uomini restano in piedi dietro di noi e chiudono la porta imbottita. Morbida.

«Buongiorno Dottoressa, grazie per averci accolti così presto. Mi pare già conosca Linda Moretto, la mia collaboratrice. »

Lei sorride, piccole rughe le si formano accanto agli occhi. La pelle è abbronzata e coperta di efelidi.

«Buongiorno Alberto, ben arrivato. Certo, conosco già Linda» e le fa un cenno d’intesa con la testa. Un cenno tra donne, di complicità. «Allora, raccontami tutto dall’inizio, per favore, così mi faccio un quadro»,

«Certamente» mi sistemo meglio sulla sedia: «Ero già a letto quando mi hanno chiamato, le confesso». Lei fa un sorriso. «E niente… la solita zona industriale, di quelle grandi, appena fuori dal paese. La statale la taglia in due, in leggera salita verso le colline. Insomma, zona industriale a destra e zona industriale a sinistra. Sa, di quelle dove vedi il parcheggione pieno di utilitarie, e davanti all’ingresso l’Audi del paròn. » Sorridiamo tutti, è una fotografia che tutti conosciamo, e che spesso uso.

«Insomma, quando sono arrivato  la situazione era questa»

«Insomma, quando sono arrivato la situazione era questa: la strada chiusa, sulla destra il cancello aperto di una di queste aziende, e dentro una macchina. Aveva i fari accesi, la porta del guidatore aperta. Un foro sul vetro anteriore, all’altezza del posto di guida. E, per terra, a un paio di metri, c’era il corpo della vittima».

Non mi serve controllare appunti, ho tutto ben fissato in mente. «Enrico Stefanello, 49 anni, divorziato, abitava a poca distanza da lì. » La Dottoressa, invece, prende appunti.

«La cosa chiara da subito, Dottoressa, è che sarà tutto complicato».

Lei socchiude gli occhi e mi chiede: «Perché dici così?»

«Comincio dalla scena del crimine. C’erano un po’ di ragazze e ragazzi della squadra, quando sono arrivato. E anche il medico legale. La prima cosa che mi ha detto una collega dell’investigativa è: “Alberto, ha sparato tre colpi ma non ci sono i bossoli, o era un revolver o li ha raccolti”. Guardo il parabrezza, guardo il buco che ha lasciato il proiettile: non è quello di una pistola. È un buco molto più grosso, è un fucile. E se ha sparato tre colpi così ravvicinati, sempre che si tratti di tre colpi, significa che era un’arma automatica. Mi spiego meglio: una doppietta o un sovrapposto, di colpi ne hanno due, poi devi espellere i bossoli e ricaricare. Ma ci metti tempo. Qui è stato veloce, il killer. Sempre che si tratti di uno. O una. Comunque una sola persona. “Una signora che passava in auto dice di aver intravisto una persona con un cappuccio che camminava veloce e si è infilata in quel vicolo” mi dice la collega».

«Sei andato a vedere dove porta? »

«Certo, a uno spiazzo in terra battuta. Parrebbe un posto da coppiette, una sola strada d’accesso carrabile e nessuna telecamera. Comunque, Dottoressa, se non le dispiace tornerei alle mie considerazioni».

Lei mi fa un cenno affermativo.

«Allora, dicevo, una persona sola significa fucile automatico»

«Allora, dicevo, una persona sola significa fucile automatico, e questo espelle i bossoli. Quindi, in effetti, chi ha agito ha raccolto i bossoli. O, peggio ancora, ha modificato l’arma perché non li facesse cadere a terra. »

«Se fosse così, sarebbe una situazione molto preoccupante, Alberto».

Sono d’accordo con lei. Significherebbe che è stato un professionista.

Racconto approfonditamente l’analisi condotta dal medico legale: mi indica i tre fori, sul corpo. Il primo mentre la vittima era ancora in auto, il secondo e il terzo mentre tentava di fuggire.

E parlo un poco della vittima, di quello che so: persona assolutamente normale, frequentazioni normali, nessun problema evidente.

Lei mi ascolta, ma pare distratta.

Poi mi ferma, con un sorriso.

«Alberto, grazie. Senti… ora i ragazzi ti riaccompagnano in stanza». La camicia inamidata è un po’ stretta, mi accorgo ora che lì dentro fa caldo, avrei quasi voglia di toglierla. Mi volto verso Linda, e la poltrona è vuota.

La Dottoressa si rivolge a uno dei miei uomini, dietro di me. «Proseguiamo con il trattamento come prescritto».

Poi si rivolge a me: «Alberto, purtroppo continui con le allucinazioni, continui a vedere Linda. Dobbiamo insistere con i farmaci fino a quando non starai meglio. Lo facciamo per te».

In effetti, a pensarci bene, ho un’immagine di Linda, ora

In effetti, a pensarci bene, ho un’immagine di Linda, ora. Di lei a terra. Io in piedi che la fisso. Non mi piace quell’immagine, non mi piace la mia mano con la fede, sporca di sangue.

«Ma non mi fate quella cosa alla testa, vero?»

Lei sorride e scuote la testa: «Alberto, sono 50 anni che quella cosa non si fa più, stai tranquillo. Cerca di riposare e ci vediamo la prossima settimana».

Mi aiutano ad alzarmi e usciamo in corridoio.

Non si sta nemmeno tanto male, qui dove tutto è morbido, dove le suole di gomma degli zoccoli non fanno rumore sul pavimento.

Guardo uno dei miei due accompagnatori e gli dico: «Sai cosa? Mi dispiace solo che non potrò continuare a indagare, e quel poveretto non avrà giustizia. »

«Dai Alberto, vedrai che qualcuno porterà avanti l’indagine, tu hai già fatto un gran bel lavoro».

«Grazie. Per favore, quando vedete Linda, ditelo anche a lei».

In memoria

di Emanuele Simonetto

ucciso il 7/2/2012

a Pieve di Soligo (TV)

il cui omicidio

non è mai stato risolto

***

L’autore: Fulvio Luna Romero

Fulvio Luna Romero è nato nel 1977 a Treviso, dove vive. Nel 2017 ha vinto il premio NebbiaGialla per inediti con il romanzo “Prosecco connection”, pubblicato da Laurana nel 2018 e finalista al premio La Provincia in Giallo. A partire dal 2003 ha pubblicato i romanzi polizieschi con protagonista l’investigatore Carlo Caccia. Per Marsilio, nel 2021 è uscito il noir “Le regole degli infami” primo capitolo di una trilogia di cui “Le regole della vendetta” (finalista al premio Dora Nera) costituisce il secondo episodio.

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi