A caccia d'acqua preziosa: come nasce l'impero della Sade

Prima del Vajont: il monopolio idroelettrico e il suo fondatore Giuseppe Volpi a cavallo tra industria e politica. Una catena di dighe, laghi e condutture per la sete di energia della pianura padana. Le inutili proteste delle istituzioni locali

Una mappa della Sade con l'invaso del Vajont e con i movimenti registrati del monte Toc
Una mappa della Sade con l'invaso del Vajont e con i movimenti registrati del monte Toc

Non era facile, la vita nel bellunese: sempre più persone, dall'Ottocento in poi, sceglievano di cercare fortuna altrove e lasciare questo territorio povero di risorse, isolato, fatto di crode aspre e valli strette. La modernità tardava ad arrivare, e quando arrivava minava equilibri secolari di sussistenza, delicati ma indispensabili alle popolazioni che ancora resistevano abbarbicate sui costoni delle montagne o raccolte nei pochi centri di fondovalle.

Se c'era una cosa, però, della quale il bellunese era ricco, era l'acqua. Fino ai primi del Novecento l'acqua era soprattutto mezzo di trasporto: da Perarolo, appena sopra Longarone, partivano le zattere che trasportavano legname e persone giù fino a Venezia. Il Piave allora era un signor fiume, ingrossato dalle portate di numerosi affluenti. Con la modernità arrivarono strade e ferrovia, le zattere furono dimenticate. E la neonata industria idroelettrica si accorse della ricchezza bellunese.

Nel 1905 l'imprenditore veneziano Giuseppe Volpi fondò la Società Adriatica di Elettricità. In poco tempo, tra acquisizioni e ottime conoscenze, la Sade si fece strada e surclassò tutte le altre piccole e medie imprese idroelettriche. Conquistò un vero e proprio monopolio, strettamente connesso con i gangli vitali dello Stato. Volpi era bravissimo a tessere rapporti, a collegare tra loro interessi anche molto diversi. Alle sue imprese (si occupava di elettricità, ma anche di porti, turismo, banche...) prendevano parte imprenditori, finanzieri, uomini politici. Lo stesso Volpi partecipava alla vita politica del tempo: indipendentemente dal colore, Volpi era nel governo - o poco lontano. Tra 1925 e 1928, mentre era a capo della Sade, fu ministro delle Finanze.

Tra le due guerre presero forma i grandi sistemi di sfruttamento idroelettrico dell’Ansiei, del Piave-Boite-Maè-Vajont e del Cordevole-Mis. Anche le grandi dighe costruite negli anni Cinquanta, vennero pensate e progettate in questo periodo.

All'inizio la Sade era impegnata soprattutto sul sistema Piave-S. Croce, con gli impianti del Fadalto. Col tempo, però, acquisì tutte le altre società che operavano in Provincia. La prima concessione era stata data agli inizi del secolo alla Cellina (Società italiana per l’utilizzazione delle Forze Idrauliche del Veneto, chiamata così per il suo grande impianto sul Cellina, in Friuli): in seguito passò alla Sade. Le prime derivazioni dal Piave all’altezza di Soccher e Soverzene erano state concesse nel 1911 e nel 1919. Prevedevano una derivazione di sei metri cubi al secondo (sui 30 della portata del Piave all’epoca) con l’obbligo di lasciar defluire nel fiume almeno 24 metri cubi. Nel 1922 e nel 1924 la concessione era stata ampliata, portando la derivazione a 30 metri cubi medi al secondo: bastava lasciar defluire nel Piave 12 metri cubi, la metà della portata rispetto a pochi anni prima.

Comuni e Provincia si erano opposti a questa enorme sottrazione di acqua dal Piave che poi, attraverso il lago di Santa Croce finiva nelle centrali della provincia di Treviso (Fadalto, Nove, San Floriano, Castelletto, Caneva), nel Meschio e infine addirittura nella Livenza. A valle di Ponte nelle Alpi era ormai impensabile ogni ulteriore significativa utilizzazione dell'acqua del Piave, distratta in un altro bacino (come si capisce dalla planimetria qui a fianco). A Belluno, dopo la confluenza dell’Ardo, il fiume arrivava ad appena cinque metri cubi al secondo.

Ogni opposizione da parte delle istituzioni locali era risultata inutile: nuove leggi rendevano più forti le grandi società idroelettriche, in grado di investire forti capitali e garantire maggiori volumi di produzione di energia elettrica. L'industria nazionale aveva fame di energia: in particolare, ne aveva bisogno il nuovo polo industriale di Porto Marghera, anch’esso firmato Volpi. Alla pianura serviva l'acqua bellunese: per carburare il boom economico e per irrigare le coltivazioni.

I fiumi e i torrenti della Provincia si riempirono di dighe, sorsero nuove centrali (Cencenighe, Agordo, La Stanga, Gena, Sospirolo), all'interno delle montagne vennero scavate gallerie. La Sade portava lavoro ed espropri, paesi sott'acqua e temporaneo sollievo dall'emigrazione. Le lotte (vane) degli ertani, dalla fine degli anni Cinquanta, non furono una novità: qui e là, nelle valli bellunesi, c'erano già state simili prepotenze, simili proteste.

La storia del Vajont è cominciata nel 1929, con la prima derivazione concessa alla Siv (società Sade) presso il ponte di Casso. Dal 1939 il sistema venne poi integrato, in varie tappe, con l’acquisizione di precedenti concessioni rilasciate sul Boite e sul Piave, con le concessioni sul Maè, con la previsione di quattro bacini a Vodo, Pieve di Cadore, Pontesei di Forno di Zoldo, Erto Casso e val Gallina, con i collegamenti in gallerie e condotte forzate e la produzione finale a Soverzene. Ben presto, si parlava di Grande Vajont.

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