Il fondo Vajont sarà presto on line, la sentenza Fabbri diventa un libro

Il nuovo lavoro dello storico Reberschak restituisce la portata innovativa del lavoro del giudice istruttore
Irene Aliprandi
Le rotaie della linea ferroviaria contorte dalla forza dell'onda del Vajont
Le rotaie della linea ferroviaria contorte dalla forza dell'onda del Vajont

La storia del Vajont sarà presto disponibile on line. Il contenuto dei 254 faldoni processuali e le 160 mila immagini repertate, frutto di un lavoro di digitalizzazione durato tre anni interamente finanziato dalla Fondazione Vajont e del restauro di dieci faldoni danneggiati, è in corso di pubblicazione sul sito dell’Amministrazione archivistica nazionale italiana.

L’annuncio è stato dato  dall’Archivio di Stato di Belluno dove è stata curata l’intera attività dopo il trasferimento del fondo dall’Aquila nel 2010, parallelamente alla presentazione del nuovo volume curato da Maurizio Reberschak con Silvia Miscellaneo ed Enrico Bacchetti, “Vajont. La prima sentenza. L’istruttoria del giudice Mario Fabbri”, Cierre edizioni.

Il libro ripercorre il lavoro del giudice istruttore e pubblica integralmente il dispositivo dell’istruttoria, comprese tutte le annotazioni personali scritte da Fabbri ai margini del ciclostile originale conservato dalla figlia Antonella. Un lavoro certosino quello del più importante storico del Vajont, Reberschak, che restituisce il valore unico e innovativo dell’istruttoria condotta dal giudice. Basti pensare che dei 254 faldoni processuali, sono ben 170 quelli formati dai documenti raccolti da Fabbri attraverso i sequestri da lui disposti. Dimostrando una straordinaria capacità archivistica, che è poi la base per il metodo storico scientifico più corretto e moderno, Fabbri ha ordinato, catalogato e indicizzato con un numero progressivo di sequestro tutto il materiale e ha anche redatto abstract per ciascun documento. Un lavoro utilissimo anche ai fini della digitalizzazione e prossima pubblicazione on line del fondo, che darà l’opportunità di effettuare ricerche per parole chiave.

L’unico materiale che dovrà attendere ancora è quello contenuto nei dieci faldoni ristrutturati dopo essere stati danneggiati da una perdita d’acqua nell’Archivio di Stato dell’Aquila: si tratta dei dati relativi alle vittime e per legge devono rimanere secretati fino al settantesimo.

Di fatto, la sentenza del giudice Fabbri è la storia del Vajont e, come ha spiegato Reberschak,  se gli atti del processo non fossero arrivati a Belluno, ricostruire la storia del Vajont dal suo concepimento nel 1900 all’accordo risarcitorio del 2000 con Stato, Enel e Montedison non sarebbe stato possibile: «Per tre volte ho chiesto di poter accedere al fondo e per tre volte l’Aquila me l’ha negato», rivela lo storico. «È solo grazie a Fabbri se alla fine ho avuto il permesso di consultare alcuni documenti. Ma è solo con il lavoro di riordino e digitalizzazione dell’archivio qui a Belluno che abbiamo potuto constatare e stupirci della capacità archivistica di Fabbri. Non amo gli anniversari, la memoria dev’essere quotidiana perché il Vajont è un caso di livello mondiale come ha riconosciuto l’Unesco inserendo il fondo nella lista della Memoria del Mondo. Il libro mette a disposizione la fonte originale, perché la storia si fa sui documenti, la lettura può essere a volte complessa ma anche scorrevole e piacevole».

Reberschak pesa le parole e ricorda che la definizione giusta per il Vajont è “disastro” «perché solo così ha rilievi a livello giuridico». Ma lo storico spiega anche come la sentenza Fabbri, nella sua straordinaria portata innovativa, abbia fatto giurisprudenza e venga tutt’ora utilizzata anche per altri disastri a livello internazionale. Alla base c’è un concetto, poi divenuto fattispecie di responsabilità, quello che non si possono trascurare i segnali di rischio e che non intervenire significa aver realizzato l’evento e quindi è colpa.

Silvia Miscellaneo, dell’Archivio di Stato di Belluno, ha ripercorso le vicende del fondo, annunciandone l’imminente pubblicazione on line rallentata solo da alcune difficoltà nella gestione dei metadati. Bacchetti, direttore dell’Isbrec, ha insistito sull’importanza del testo per la memoria collettiva, soprattutto a fini didattici e per una molteplicità di materie, dal diritto alla geologia, oltre a restituire gli spunti di riflessione contenuti nelle 458 pagine dattiloscritte da Fabbri. «Si è parlato tanto delle vittime e poco delle responsabilità, questo libro lo fa affrontando la vicenda dal punto di vista della magistratura che per sua natura dev’essere rigorosa e certificata».

E a proposito di Unesco, la vicepresidente della Fondazione Tina Merlin, Irma Visalli, che ne ha seguito il progetto rivela un aneddoto: «Prima di intraprendere il lavoro per l’inserimento del fondo nella Memoria del Mondo Unesco ho chiesto un parere a Fabbri, che con il solito pragmatismo ha risposto “dipende da cosa ce ne facciamo”». Gino Sperandio, dell’Anpi, ha spiegato come Fabbri fosse intimamente legato anche per la sua storia familiare all’Anpi e all’antifascismo e ha annunciato un’iniziativa con la quale saranno ricordati “i buoni” del Vajont, da Fabbri a Tina Merlin passando per l’avvocato Canestrini. Nella sua veste di avvocato, Sperandio ha anche ribadito la portata innovativa del lavoro di Fabbri sotto il profilo giuridico: «Prima i reati di strage colposa e di disastro industriale non esistevano, se ci fossero stati le sentenze del Vajont sarebbero state meno miti».

Per Antonella Fabbri: «Il libro dà giustizia e determinazione al lavoro di mio padre», mentre per Umberto Oliver sopravvissuto e rappresentante di Cierre: «Questo libro è la sorgente della verità sul Vajont. Lotterò con tutte le mie forze affinché gli atti del processo restino a Belluno».

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