Mattarella: «Gli atti del Vajont restino qui»
Il presidente della Repubblica, al cimitero di Fortogna e alla diga per il sessantesimo del disastro, ha accolto l’appello per far restare nei luoghi colpiti la documentazione dei processi
La documentazione processuale del Vajont resti qui, dove il disastro si è consumato, «per rendere onore alle vittime del Vajont, per riceverne un ammonimento, per evitare altre tragedie». Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha culminato così il suo intervento alla diga del Vajont, accolto da applausi scroscianti, nel momento centrale della celebrazione per il sessantesimo anniversario del disastro.
Una mattinata apertasi con un abbraccio corale al presidente della Repubblica al cimitero monumentale delle vittime del Vajont a Fortogna, con applausi all’arrivo, poi strette di mano, occhi lucidi dei soccorritori, militari sull’attenti. A Fortogna Mattarella è arrivato accolto dal presidente della Regione Luca Zaia, dal prefetto Mariano Savastano, dal presidente della Provincia e sindaco di Longarone, Roberto Padrin.
«Il Vajont ha fatto emergere la parte peggiore ma anche la parte migliore dell’uomo», ha detto Roberto Padrin, nel suo discorso di saluto al capo dello Stato fra memoria, storia e il fondamentale ruolo dei soccorritori. «Allo Stato chiediamo che le carte processuali del Vajont restino qui».
«Quello che è successo al Vajont dimostra che non siamo invincibili», aveva detto poco prima Zaia davanti al cimitero. «Dobbiamo rivedere il nostro rapporto con la natura. Il delirio di onnipotenza porta devastazioni come queste. I soccorritori con cui ho parlato in questi giorni raccontano scenari apocalittici e lunghi periodi in cui non sono riusciti più a parlare né a dormire. Il vero rischio è quello della assuefazione per cui eventi straordinari diventano ordinari. Dovremmo parlarne di più nelle scuole e con i giovani».
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Dal governo il messaggio è arrivato invece con un post della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, su X, l’ex Twitter: «Oggi ricordiamo il tragico disastro del Vajont, una ferita profonda nella nostra storia. Quasi 2 mila vittime, interi paesi spazzati via, una tragedia che poteva e doveva essere evitata. A distanza di 60 anni, il ricordo del Vajont resta un monito per tutti noi. Non dobbiamo dimenticare quanto è costata l'irresponsabilità umana in quella terribile notte del 9 ottobre 1963 a una Comunità che era pienamente consapevole dei rischi, ma che rimase inascoltata».
A Fortogna Mattarella si è fermato a stringere mani ai cittadini presenti, tra cui molti soccorritori di sessant’anni fa. Poi, salito sull’auto con le insegne del Quirinale, si è diretto verso la diga del Vajont, dove lo attendeva il capo dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, con il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana.
Il presidente della Repubblica ha imboccato il cammino sul coronamento della diga, accompagnato dal sindaco di Erto e Casso, Antonio Ferdinando Carrara. A lui Mattarella ha chiesto dettagli sullo scenario che gli si apre davanti dalla sommità della diga. «Quella è la frana», gli ha indicato Carrara.
«La diga è stata una grande opera di ingegneria ma non andava fatta qui. Non andava fatta qui», ha ribadito Mattarella osservando i luoghi del disastro dal coronamento.
Poi, nel padiglione allestito al piazzale Paolini, davanti alla diga, si sono tenuti gli interventi istituzionali. È stato il presidente del Friuli - Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, a rivolgere il primo indirizzo di saluto al capo dello Stato, ripercorrendo le tappe della tragedia e ricordando che «nonostante la piena consapevolezza della tragedia imminente, le popolazioni non vennero fatte sfollare».
«Il Vajont è stato anche solidarietà, presenza di una comunità, militari e cittadini che hanno scavato anche a mani nude per cercare di salvare», ha detto quindi il presidente del Veneto, Luca Zaia. «Oggi siamo qui per rinnovare il ricordo, ma anche per trarne un insegnamento».
Via la parola “incuria”, ha sottolineato Zaia, perché questi sono disastri «non causati dall’incuria dell’uomo, ma causati dal delirio di onnipotenza dell’uomo».
È stato quindi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, andando fuori dagli schemi delle consuetudini, a prendere la parola. «Le Nazioni unite hanno classificato questo evento come uno dei più grandi disastri ambientali provocati dall’uomo», ha sottolineato il capo dello Stato. Un discorso netto, deciso, quello di Mattarella: «La tragedia che qui si è consumata reca il peso di gravi responsabilità umane, scelte che vennero denunziate da persone attente anche prima del disastro», ha sottolineato.
«L’interazione dell’uomo con la natura fa parte dell’evoluzione della natura stessa», ha detto quindi Mattarella, «l’uomo fa parte della natura ma non deve diventarne nemico». Il presidente ha quindi ricordato il campanile di Pirago che «svettava solitario» all’indomani del disastro. Il dolore in sessant’anni non si attenua, ma quel campanile ora restaurato, ha detto Mattarella, «appare come simbolo della resilienza di queste genti».
Interrotto da applausi scroscianti, quindi, dal presidente della Repubblica è arrivata la chiara e netta indicazione sulla documentazione dei processi de L’Aquila che il Bellunese chiede rimanga in provincia invece di tornare in Abruzzo. Per Mattarella è «non solo opportuno ma doveroso che la documentazione del processo rimanga in questo territorio».
Se le carte all’epoca avevano infatti una finalità giudiziaria, ha sottolineato il presidente della Repubblica, conclusi da tanti anni i processi la documentazione «ora deve avere una finalità di memoria, e quello che attiene alla memoria deve essere conservato vicino a dove la tragedia si è consumata, per rendere onore alle vittime del Vajont, per riceverne un ammonimento, per evitare altre tragedie».
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