Doria, da Harvard al convegno di Padova: «La genetica per prevenire i rischi di ammalarsi»

Il docente veneziano terrà uno speech venerdì 22 marzo al World Health Forum del Veneto: «Le informazioni di base messe in rete per prevenzione e terapie»
Laura Berlinghieri
Alessandro Doria, veneziano, docente alla Harvard Medical School
Alessandro Doria, veneziano, docente alla Harvard Medical School

Si potrebbe definire genetica predittiva, intelligenza artificiale a servizio della salute. Informazioni di base – storia clinica, malattie precedenti, farmaci assunti – messe in rete e capaci di anticipare i rischi.

Sarà il tema del keynote speech “Leveraging genetics for AI-based personalized medicine of common multifactorial disorders” tenuto da Alessandro Doria, veneziano, docente di Medicina alla Harvard Medical School, venerdì 22 marzo alle 9 al Centro congressi.

Professor Doria, in che modo l’intelligenza artificiale può essere messa a servizio della medicina?

«In moltissimi modi. Io mi occupo di genetica, e quindi storia del malato, malattie presenti, farmaci assunti: informazioni che possono essere integrate. Negli ultimi 15 anni, la tecnologia ha fatto passi da gigante: è possibile analizzare milioni di varianti di un unico genoma, che contribuiscono allo sviluppo di determinate malattie».

Per fare prevenzione?

«Identificare i soggetti a rischio e migliorare l’efficacia delle terapie. Ci sono varianti che non si limitano a indicare il livello di rischio di sviluppo della malattia, ma mostrano anche se la persona risponderà efficacemente al trattamento. Ci sono varianti che rendono i soggetti resistenti agli interventi».

Quante varianti ci sono?

«Un tempo si potevano elencare, ora sono centinaia. L’obesità ne conta più di mille».

E come si capisce se un soggetto è più predisposto a una malattia?

«Creando dei “punteggi”. Ogni persona possiede due cromosomi: uno dal padre e uno dalla madre. Di conseguenza, ognuno di noi può avere 0, 1 o 2 varianti che conferiscono il rischio. I livello di rischio è la somma del numero di varianti. Se in totale le varianti possibili sono 200, il livello di rischio va da 0 a 400».

Anche il fumo e il consumo di alcol sono varianti, pur non genetiche?

«Sono fattori ambientali. Nelle malattie multifattoriali – come quelle cardiovascolari o il colesterolo – la suscettibilità genetica interagisce coi comportamenti. Sono fattori necessari, ma non sufficienti».

Cosa significa?

«Significa che esistono malattie solo genetiche, come la fibrosi cistica, e altre che sono frutto di genetica e fattori ambientali. Chi nasce con un rischio elevato di obesità, ma è attento alla dieta e pratica sport, godrà di una suscettibilità genetica che non si estrinseca. E vale pure il contrario».

Abbiamo parlato dei fattori di rischio. Il passaggio ulteriore è l’integrazione di queste informazioni?

«L’integrazione di informazioni genetiche e storia clinica, per approntare interventi preventivi e terapeutici».

E quindi l’intelligenza artificiale...

«E quindi gli algoritmi di machine learning, che restituiscono un quadro preciso di probabilità: quante probabilità ci sono che determinati interventi su una persona causino un beneficio, e quante che abbiano effetti collaterali. Informazioni che possono essere utilizzate dai medici».

È la fine della medicina?

«C’è un dibattito in corso. Io credo siano strumenti d’aiuto al medico, che continua a essere responsabile. Sarà il dottore ad analizzare criticamente i risultati forniti dagli algoritmi, per fornire il feedback definitivo. Senza contare che non esiste macchina che si possa sostituire a un medico nel rapporto con il paziente».

Significa che in futuro potremo nascere già “schedati”?

«Il termine ha un’accezione negativa; però, sì. Attualmente, la capacità di prevedere la malattia aumenta con l’avvicinarsi dell’evento. Di fronte a un adolescente, non è possibile dire se, da adulto, soffrirà di colesterolo alto. Grazie alla genetica, invece, è possibile prevedere i rischi fin dalla nascita, e quindi instaurare da bambini stili di vita consoni. È positivo, significa avere di fronte a sé l’orizzonte di una vita per prevenire i rischi».

Diciamo che la vera rivoluzione copernicana risiede nell’interazione e nella capacità di analisi, grazie all’intelligenza artificiale.

«Sì, adesso abbiamo informazioni molto più dettagliate e ricche, rispetto a un tempo. E un supporto computazionale che ci consente di metterle a sistema e sfruttarle come un unicum».

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi