Alari: «Rabbia per la sconfitta della Dolomiti ma il campionato è lungo»
Il difensore analizza il ko con il Villafranca.
«È mancata la concretezza, però voltiamo pagina e pensiamo subito alla gara di Adria»
FELTRE
Un po’ più di cinismo, quello sì. Però la strada è giusta e la sconfitta non ha rispecchiato in modo fedele quanto si è visto allo Zugni Tauro. Ad ogni modo, oggi la Dolomiti Bellunesi riprende a lavorare dopo il tanto incredibile quanto fastidioso ko contro il Villafranca. Si sognava un esordio in campionato ben diverso, inutile girarci attorno. Invece il gol di Menolli su punizione richiede ora di reagire subito e magari andare a fare punti sul pur complicatissimo campo dell’Adriese.
Degli aspetti da aggiustare ci sono, è chiaro. Dall’interpretare forse meglio determinate fasi della partita all’evitare le situazioni che possono creare ulteriori complicazioni, vedi ad esempio il secondo giallo rimediato in extremis da Pasqualino. Senza contare il ruolo di alcuni giocatori simbolo al momento fuori dal giro della titolarità, tra cui Corbanese ed Onescu, quest’ultimo addirittura non entrato domenica.
Comunque il difensore Alberto Alari si dice fiducioso, dall’alto della sua esperienza maturata in diversi anni di C nonostante sia solo un classe 1999.
A freddo che effetto fa ripensare al ko?
«Di rabbia e veleno addosso ne abbiamo parecchio. Desideravamo fare bene ed al contrario, ora siamo qui a commentare una sconfitta assai poco veritiera. Non siamo mai andati in difficoltà, ad eccezione della loro rete e di un paio di situazioni pericolose vissute in precedenza. E al contrario, la squadra ha continuato ad attaccare e creare occasioni. Ad ogni modo, quando perdi qualcosa che non è andato c’è».
Forse nel secondo tempo è mancata un po’ di lucidità.
«Stanchezza e nervosismo si sono fatti sentire. Quando non riesci a segnare, tendi un po’a non essere più così tranquillo come dovresti. Secondo me comunque un aspetto su cui crescere riguarda la maggiore concretezza e soprattutto il migliorare l’ultimo passaggio. Poi si sa, con il senno di poi è facile parlare…».
È lunga comunque l’annata, con 33 giornate ancora davanti.
«Certo. Domenica nello spogliatoio era normale provare un senso di delusione e un po’ di abbattimento morale. Ma via, da oggi si cambia pagina e si pensa all’Adriese. Siamo un gruppo di ragazzi assai intelligenti e il campionato è appunto lunghissimo».
Il vostro è un calcio assai ricercato e votato all’arrivare in porta sempre secondo idee ben consolidate.
«Se cominciamo a lanciare lungo e a farci prendere dalla frenesia si crea solo confusione. In ogni momento occorre andare avanti con il nostro gioco, sempre assai aggressivo e proiettato in avanti».
Vogliamo conoscerti un po’ meglio. Vieni da un percorso professionistico, tra settore giovanile dell’Atalanta e le stagioni di C con Carrarese, Südtirol, Ravenna e Pergolettese. Come mai la scelta di scendere in D alla Dolomiti?
«Puntavo a trovare un ambiente di stampo professionistico e alla Dolomiti c’è. Allenamenti ed organizzazione sono sempre al top. In più mi trovo bene anche come posto in cui vivere. Mi ricorda parecchio Bolzano».
Sei atalantino doc, dal punto di vista della fede calcistica?
«In realtà tifo Atalanta e Juventus. La Dea è una passione quasi naturale, in quanto sono bergamasco e sono appunto cresciuto calcisticamente in nerazzurro. La Juve è invece la squadra tifata in famiglia. Quando giocano contro comunque, non guardo neppure la partita: non riesco proprio a scegliere tra una o l’altra».
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