Andrea Da Rold: «Non rimpiango di aver mancato l'approdo in A»

BELLUNO. Di calciatori bellunesi sbarcati nel mondo del professionismo non se ne possono contare molti. Ma qualcuno, nel mondo del pallone che conta, è riuscito a rimanerci per svariati anni. Tra questi c’è Andrea Da Rold, terzino sinistro cresciuto a due passi da Camp de Nogher, a Cavarzano, e in grado di arrivare fino alle giovanili dell’Hellas Verona, prima di un girovagare tra Pescara, Lucca, Ascoli, Fiorenzuola e via così. Adesso allena il Nervesa, tra un paio di settimane avversaria del San Giorgio Sedico nell’ultima di campionato. Ma di questo parleremo dopo.
Andrea, complessivamente sei soddisfatto della tua carriera?
«Credo proprio di sì. Secondo me è stata positiva, nel rispetto di quelle che erano le mie possibilità. Mi sono tolto delle buone soddisfazioni».
La serie A l’hai sfiorata con l'Hellas Verona, ma non sei mai riuscito a giocare nella massima serie. Non hai qualche rammarico da questo punto di vista?
«No, nessuno. Tutto quello che dovevo e potevo dare l’ho dato. Purtroppo a Verona, quando sono arrivato, ero chiuso nel ruolo da un terzino come Vanoli, che ha disputato una carriera intera in A. Ma sono felice lo stesso di com’è andato il mio percorso».
Tu avevi già giocato nelle giovanili gialloblù, ma poi sei andato via. Questo ritorno di fiamma a cosa è dovuto?
«A delle grandi stagioni con il Fiorenzuola. La categoria era la C1, ma ci giocava gente che poi in serie A è stata per tanti anni. Parliamo di Massimo Oddo, Andrea Foglio, Omar Milanetto, Claudio Bellucci e via così. Nel 94-95 sfioriamo la B con i playoff. Superiamo in semifinale il Monza vincendo per 1-0 in casa, dopo la sconfitta con il medesimo punteggio in Brianza, e passiamo per la migliore posizione in classifica. In finale ce la giochiamo con la Pistoiese, ma perdiamo ai rigori. La stagione successiva andiamo molto avanti in Coppa Italia, giocando tra l’altro una grande partita contro il Torino. Forse quella prestazione convince il direttore sportivo Rino Foschi a prendermi. Con l’Hellas disputo tutto il ritiro estivo, prima di essere girato in prestito alla Lucchese. Ma mi è rimasto ancora impresso con quanto calore ti segue quel pubblico anche durante le semplici amichevoli».
Riavvolgiamo il nastro. Inizi nel settore giovanile del Cavarzano...
«Avvio logico, visto che abito a un chilometro da Camp de Nogher. Eravamo una bella squadra noi del 1972: Michele De Min, Marco De Min, Luca Bertolissi, solo per citarne alcuni. In giallorosso dai Pulcini fino agli Allievi. Ricordo Vittorino Sovilla, storico presidente giallorosso, che ci accompagnava il sabato in giro per i campi. Vincevamo quasi sempre, ci divertivamo tanto».
C'è però anche il Belluno sulla tua strada.
«Dopo l'esperienza nel settore giovanile del Verona ho dovuto ricominciare tutto daccapo per un infortunio al malleolo. Torno quindi a casa, stavolta in gialloblù. E mister Toni Tormen mi lancia in prima squadra nel campionato 1989-1990, quello del ritorno nell'Interregionale. 10 punti rifilati al Santa Lucia. Bei ricordi, grandi giocatori, presidente Stragà. Ero giovane, ma come dimenticare “Bulbo” De Moliner in porta, Borgato, Michelon e tutti gli altri?».
A proposito di campionati vinti, subito dopo conquisti anche la C2 con la maglia del Giorgione.
«Una matricola ma con una rosa composta da giocatori di spessore. Allenatore Gianfranco Bellotto, poi ad esempio Dario Donà, nella rosa del Verona campione d’Italia, Bressan, Daniele Bellotto...».
Iniziavi a capire quindi che potevi ambire a qualcosa di importante.
«Mi ero reso conto che avevo delle qualità. Mi impegnavo molto e trovavo sempre la stima anche dei giocatori più anziani».
La città che ti è rimasta nel cuore?
«Ascoli, senza dubbio. Anche l'esperienza con il Fiorenzuola la ricordo con grande affetto, ma la città marchigiana vive di calcio come poche».
Escluso quell’infortunio al malleolo quando eri a Verona nel settore giovanile, hai avuto altri problemi fisici?
«No, per fortuna. Però ero un terzino che correva sempre tanto, e alla fine dovevo gestire le forze lungo tutto il campionato. A fine partita dovevo riposare abbastanza, facevo fatica a recuperare. Ero comunque molto volenteroso».
A Pescara purtroppo c'è invece la squalifica di 16 mesi per la positività al nandrolone. Una sostanza trovata in limiti superiori alla norma in molti giocatori famosi.
«Non ho fatto niente, tanto che sia 15 giorni prima e sia 15 giorni dopo il controllo antidoping è risultato negativo. Non ho potuto difendermi come volevo ma ancora adesso sono tranquillissimo. So che purtroppo agli occhi della gente resti parecchio segnato, e anche la mia carriera ne ha risentito. A Pescara avevo come allenatore Delio Rossi che stravedeva per me. Mi aveva persino promesso che mi avrebbe portato con lui nelle sue future squadre. Dispiace come è andata, ma ci sono cose sicuramente ben più gravi».
Conclusione della carriera a Belluno, in serie D.
«Purtroppo complica tutto un brutto infortunio patito con la maglia del Cittadella. E pensa che il Padova era interessato parecchio a prendermi. Sono tornato Belluno, ma era una scommessa visto che poi sarei passato attraverso tre interventi. Ho giocato una trentina di partite nella stagione 2005-2006, appena dopo la retrocessione dalla C2, allenatore Daniele Pasa. Però ormai avevo perso qualcosa di importante e per questo ho rifiutato qualche chiamata da club professionistici prendendo la decisione di appendere gli scarpini al chiodo».
Segui ancora i gialloblù?
«Certo, e so che sono allenati da uno dei migliori allenatori in circolazione: Roberto Vecchiato».
E il “tuo” Cavarzano? Giovedì gioca la finale di Coppa Veneto con conseguente possibile salto in Promozione.
«Conosco il tecnico Pauletti, da quando alleno ci siamo incontrati varie volte a livello di settore giovanile. Una persona seria e in generale una società che può ottenere risultati importanti».
Da qualche anno però vivi fuori Belluno, ora più precisamente nel Trevigiano, a Visnadello.
«Dal 1998 mi sono spostato verso la pianura. Mia moglie è della zona, in più viaggiavo spesso e quindi avevo bisogno di un punto di riferimento comodo quando tornavo dalle varie città dove giocavo. Sai, fino a quando non c’era l'autostrada andare ogni volta a Belluno e ritorno voleva dire quasi due ore aggiuntive».
Adesso alleni il Nervesa in Eccellenza, dopo essere subentrato qualche settimana fa al tecnico Bruno Gava.
«Un’esperienza nuova, completamente diversa da quella di un settore giovanile. Ma sta andando bene, abbiamo ottenuto buoni risultati, anche se purtroppo i playoff non potremo farli, visto il cammino tenuto da Liventina e San Giorgio Sedico».
Tifoso di che squadra?
«Di nessuna in particolare. Mi piace il bel calcio, soprattutto la Champions che considero la massima espressione di questo sport. Fino a 10-15 anni fa tifavo Juventus, ma ora è più difficile tifare squadre con i giocatori che cambiano maglia molto spesso. Ammiro società come Chievo e Udinese, che con poche risorse ottengono molto».
Sei anche un grande appassionato di tennis.
«Assolutamente. Anzi, quasi quasi guardo più volentieri questo sport in tv che non il calcio. Gioco in un circolo locale e sono molto competitivo. Ho bisogno di sfidare avversari, non solo di fare qualche partitella con gli amici. Penso sia normale dopo aver praticato sport a certi livelli».
Federer o Nadal?
«Quando gioco mi ispiro più a Nadal. Meno colpi ad effetto, considero più importante mettere la pallina dall’altra parte. Però riconosco che Federer è inarrivabile, il Maradona del calcio. Tutti ci stanno provando, ma nessuno riesce a raggiungere la sua classe».
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