Bortolini, 18 anni d’amore con la Canottieri

Iniziò scegliendo il nome Canottieri: la squadra è l’orgoglio di Belluno
Partita della canottieri calcio 5 a sedico
Partita della canottieri calcio 5 a sedico

BELLUNO. Sabato 19 dicembre 2015. Spes Arena. Canottieri Belluno-Castello 7-1. Capolista non solo battuta. Affossata. C’è, nelle parole di un tifoso, una frase che qualche sentimento lo provoca. “Sembra di essere tornati indietro di qualche anno”. Già. Pareva di essere tornati a quando, venire all’ex Palaghiaccio, per le avversarie equivaleva ad un viaggio all’inferno. Chi in tutta questa storia c’è stato è mister Alessio Bortolini. Un pomeriggio siamo andati a trovarlo per farci raccontare della squadra che, pur non essendo mai stata in A, è considerata tra le storiche del futsal nazionale. Alessio, 18 anni di Canottieri. Una vita, praticamente.

«Ho iniziato dando il nome alla squadra. Ricordo la prima riunione alla pizzeria Mirapiave. E’ un percorso di cui vado davvero orgoglioso. Sono partito dalla serie D come giocatore arrivando all’A2 e sfiorando alla lontana la serie A, mentre da allenatore ci sono andato ancora più vicino».

Ti riferisci alla stagione 2011-2012. Terzo posto finale, a tre punti dalla promozione diretta.

«Per fortuna qualcuno ha guardato giù quella volta e ci ha fatto giocare una partita sciagurata a Villorba. Quei tre punti ci avrebbero promossi a fine stagione. Sarebbe stata una mazzata però a livello economico. Se oggi siamo a giocarci questa apprezzabilissima serie B è anche grazie a quell’evento, che allora però ci parve sfortunato».

Ma questi 18 anni di Canottieri, come li giudichi?

«Sembra ieri che abbiamo iniziato. Però poi se penso a quanta gente è passata di qui, quante città abbiamo toccato, è proprio un piccolo pezzo di storia sportiva. Siamo arrivati molto in alto, seppur in uno sport di nicchia. Penso siamo stati un orgoglio per la città. Ci sono stati momento belli, meno belli, ma sempre appassionanti».

Il calciatore di Bortolini. È la vittoria in casa della Coppa di serie B il momento più emozionante?

«Quello è stato indubbiamente l’apice, una semifinale pazzesca con il Putignano e il trionfo finale con il Divino Amore. L’ex palaghiaccio era strapieno. Vivere in casa un’emozione del genere ha un sapore particolare. In quell’anno poi abbiamo fatto un’altra cavalcata straordinaria in B. In generale tanti di noi bellunesi si sono tolti delle grande soddisfazioni, pur considerando che era impensabile in quelle stagioni affrontare quelle categorie senza i brasiliani».

Spunto interessante, quello dei brasiliani. Cosa ti ha impressionato di più?

«Eder è stato uno forte, Dalle Molle era uno che non colpiva per tecnica ma era implacabile, Laerte De Melo aveva un’eleganza incredibile. Personalmente ho avuto molta stima per Papù, sia da compagno che da allenatore. E qui ho un piccolo aneddoto. Ricordo il mio primissimo allenamento, quando ho colto un suo motto di insofferenza. Era probabilmente scettico sul mio nuovo ruolo. Ho incassato ma poi, a distanza di qualche mese, ha riconosciuto la bontà del lavoro che stavo facendo».

Meneghel, Fiabane, Mancini, Marani, Scala. Questi i cinque allenatori che hai avuto da giocatore. Quale ti ha lasciato di più?

«Terrei fuori da questo mazzo Giacomo Fiabane, perché con lui abbiamo condiviso un cammino e non riesco a considerarlo al pari degli altri. Non abbiamo citato Moruga, campione del mondo con il Brasile, che è stato qui per due brevi periodi. Dai tre brasiliani ho imparato sia quello che va fatto che quello che non va fatto con un gruppo».

Prima stagione da allenatore con semifinale di Coppa Italia e play-off per la serie A.

«Una soddisfazione, perché l’anno prima avevamo stentato a salvarci. Secondo me la cosa più importante che deve fare un allenatore è evitare di fare danni. Ho trovato l’equilibrio giusto per guadagnarmi la giusta autorevolezza nei confronti dei miei ex compagni».

Stagione dopo e, nonostante un fallimento sfiorato in estate, è l’anno della quasi promozione.

«Avevamo fatto un mercato buono. Una rosa corta ma tenace, giocatori maturi ed è una delle squadre che ricordo con più affetto. I ragazzi stranieri erano di gran livello, si sono calati al meglio nella nostra realtà e hanno coinvolto tutti gli italiani presenti».

Quell’anno la corsa play-off è finita con il Loreto a Sedico. Prima, altre due eliminazioni ai play-off con il Cagliari nel 2007 e con il Verona nel 2011. Quale di queste tre partite vorresti rigiocare?

«Con il Cagliari avevamo fatto una bella partita lì, bucando il ritorno in casa. In tutte e tre le partite abbiamo ceduto nonostante il return match da noi. Con il Loreto eravamo in palla ma loro fecero una gran partita. Vorrei rigiocare senza dubbio con il Verona. Avevamo pareggiato in casa loro ma abbiamo sentito troppo la tensione e alla Spes abbiamo gestito male alcuni momenti decisivi».

Campionato 2012-2013. Via qualche brasiliano, via anche Peruzzi ma nonostante tutto salvezza tranquilla.

«La definirei invece gagliarda. Beneficiammo di un bel gruzzolo di punti, assicurati anche dalla presenza di Daniel nel girone d’andata. Poi tanti infortuni, compreso quello di Melo ma in quel campionato non mollammo mai. Alla fine salvezza con due giornate d’anticipo. Secondo me un piccolo capolavoro».

L’anno più duro. Rivoluzione totale e retrocessione in B con soli cinque punti. Come lo hai vissuto?

«E’ stato faticoso. Non potevamo pensare di salvarci. Potevamo magari fare qualcosa in più ma ai ragazzi non si poteva umanamente chiedere di più. Nonostante tutto, dal punto di vista mentale abbiamo retto abbastanza bene».

E si riparte un’altra volta. Cambiando buona parte del gruppo.

«Per il nostro ds non credo sia stato semplice. Alcuni giocatori hanno scelto altre strade quindi non era facile ripartire. Però, con l’aiuto di tutti, siamo stati bravi a lottare in un campionato nazionale con giocatori nuovi».

Il cerchio è quasi chiuso, manca solo questa prima parte di campionato. Chiusa alla grandissima, tra l’altro.

«Eravamo partiti con qualche ambizione di crescita immediata, ma ci siamo ritrovati vittime di un’involuzione quasi imbarazzante, senza spiegarcene i motivi. Ho anche considerato l’ipotesi che fosse una situazione irreversibile. Invece ora pare sia in atto una reazione di livello. Abbiamo fatto vedere che possiamo stare in categoria. La testa comunque è solo rivolta alla salvezza».

Da storico capitano, è difficile non chiederti qualcosa su altri due capitani biancoblù, ossia Piaz e Reolon.

«Moreno rappresenta il presente della Canottieri. È un ragazzo che merita. Quando è arrivato era in un contesto inaffrontabile per i ragazzi locali, ma adesso si sta togliendo tante soddisfazioni. Piaz è stato il mio erede, scrivendo la storia. Io oltretutto spero che torni a casa, non riesco a vederlo con altre casacche in nessuna veste».

Il sogno di Alessio Bortolini legato alla Canottieri?

«Sarebbe bello portare uno scudetto a Belluno. Per come è strutturato il calcio a 5 in Italia sarebbe una realtà ideale. Ci vorrebbe un investimento importante certo, ma mi piacerebbe davvero. A un certo punto non siamo stati lontani da un’ipotesi del genere, poi però le cose sono cambiate. Ma qualcosa rimane: dei ragazzi che siamo stati e di quel sogno».

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