Buzzi lavora duro a Udine dopo l’infortunio: «Piscina e palestra per rientrare presto»

Il sappadino sta recuperano dopo la rottura del piatto tibiale a Wengen, proprio nel giorno del suo miglior risultato (sesto posto) in carriera 
Ski World Cup 2018/2019, Wengen (SUI), 19/01/2019, Emanuele Buzzi (ITA), Photo by Marco Tacca, Pentaphoto
Ski World Cup 2018/2019, Wengen (SUI), 19/01/2019, Emanuele Buzzi (ITA), Photo by Marco Tacca, Pentaphoto



Nei 50 metri della finish area di Wengen in Svizzera, al termine della mitica pista del Lauberhorn, ha vissuto gli attimi più intensi della sua vita sportiva. Dal traguardo alla scivolata verso i materassi, dal sesto posto nella discesa libera, il miglior risultato mai ottenuto, al forte dolore per la rottura del piatto tibiale.

Era il 19 gennaio 2019, poi il 23 l’operazione presso la clinica La Madonnina di Milano, da parte dei dottori della Commissione Medica Fisi. Ma oggi Emanuele Buzzi da Sappada, dopo mesi di riabilitazione, è pronto a ripartire.

A che punto siamo?

«Passo tutta la settimana a Udine dove Luigino Sepulcri, che mi segue da cinque anni, ha un centro di rieducazione e riabilitazione. Al mattino sono in piscina, dove cammino con l’acqua all’altezza del petto e faccio esercizi per la mobilità della gamba destra infortunata. Ed anche del lavoro aerobico, una sorta di corsa nell’acqua alta. Poi il pomeriggio altro lavoro in palestra, almeno per due ore e mezzo, con elastici ed esercizi per mantenere, per quanto possibile, il tono muscolare, senza sovraccaricare il ginocchio. Ancora mi muovo con le stampelle, ma la prossima settimana avrò un controllo che dovrebbe permettermi di appoggiare a terra il ginocchio destro e, se tutto andrà bene, abbandonare finalmente le stampelle».

E dopo?

«Ricomincerò con la preparazione atletica e finalmente potrò anche rimettere gli sci ai piedi».

Quando hai iniziato a sciare?

«A quattro anni, sui campetti qui a Sappada. Vengo da una famiglia di sportivi: mio nonno Bruno De Zordo (1941) è stato campione di salto con gli sci; mio padre Paolo Buzzi (1964) ha fatto fondo e biathlon a livello agonistico; mia madre Auroranna De Zordo (1968) ha fatto sci alpino, anche lei a livello agonistico. A Sappada gli sport naturali per i ragazzi sono questi».

Sei nato nel 1994.

«Ho sempre sciato con passione da quando avevo quattro anni e mi sono sempre divertito. Poi si arriva alle superiori e devi fare una scelta, perché se decidi di proseguire con lo sport a livello agonistico gli allenamenti diventano quotidiani e particolarmente intensi. Allora ho scelto di fare il Liceo linguistico ad Auronzo, utile anche per avere una dimestichezza con le lingue che adesso mi aiuta molto nel mio girare il mondo per allenamenti e gare. Poi, anche se non avevo una visione chiara di quello che poteva diventare lo sci per me, ho deciso di proseguire dando il massimo. Insomma ha prevalso la passione e l’amore per questo sport».

Eri allenato da Andrea Puicher Soravia a 13 anni ed avevi vinto a Zoldo, nel 2007, i Campionati italiani ragazzi in Gigante; poi nel 2009 lo Slalom speciale allievi; dal 2011 sei tesserato con la Forestale ed oggi fai parte del Gruppo sportivo Carabinieri.

«E questo mi ha permesso di allenarmi al meglio, di avere stimoli nuovi, di confrontarmi con ragazzi di due o tre anni più grandi di me, che già diventavano punti di riferimento. Allenarsi con un gruppo sportivo militare è molto stimolante e l’anno dopo, il 2012, sono stato selezionato in squadra C nazionale, ho fatto il circuito di Coppa Italia con il sogno di entrare in Coppa Europa, come poi è avvenuto».

Quale è stata la prima gara all’estero?

«Mi sono confrontato con atleti stranieri fin dal Trofeo Topolino. Poi sono stato fin da ragazzo in Repubblica Ceca con la Coppa Eyof (European Youth Olympic Festival, una competizione che si svolge ogni due anni fra atleti di oltre 50 Paesi). Ed ho cominciato a viaggiare molto. Ho partecipato ai mondiali del 2012 a Roccaraso ed a quelli del 2013 in Canada; intanto nel 2011 avevo iniziato la Coppa Europa, ho vinto tre gare e fatto nove podi e nella stagione 2015/2016 sono arrivato primo nella classifica generale di Gigante, secondo in quella di Discesa e terzo nella Generale, cosa che mi ha consentito poi di guadagnarmi un posto fisso in Coppa del Mondo, che è una realtà del tutto diversa dalla precedenti. Qui sei davvero al top».

Così ti trovi a gareggiare a fianco e contro i tuoi miti. Oggi fai parte dei quattro discesisti della squadra azzurra, insieme a campioni del calibro di Dominik Paris (oro nel Supergigante dei Mondiali di Åre, nel febbraio scorso, e vincitore della Coppa del mondo di specialità), Peter Fill (due medaglie iridate e tre Coppe del mondo di specialità) e Christof Innerhofer (campione del mondo di Supergigante nel 2011 e vincitore di medaglie olimpiche e iridate).

«Mi hanno accolto con grande simpatia, perché io sono un po’ la mascotte, per ragioni di età. Ho un ottimo rapporto con tutti, con Fill in particolare, e la possibilità di imparare ad ogni gara e ad ogni allenamento. È molto stimolante e sfidante».

E arriviamo a Wengen, Svizzera, 19 gennaio 2019, il giorno che in pochi secondi si trasforma dal più bello al più brutto della tua carriera.

«Ero molto contento della gara, ero riuscito a fare proprio tutto quello che volevo. Al traguardo ero convinto di aver concluso una bella prestazione, ma ero molto stanco. Ho trovato due dossetti nella neve, mi sono lasciato cadere per scivolare verso i materassi, convinto che ci sarei arrivato di schiena, ed invece lo sci si è incastrato sotto ed ha fatto una pressione sulla gamba che ha portato alla rottura del piatto tibiale. Ho realizzato subito che mi ero fatto male, perché avevo avuto un incidente analogo, anche se meno grave, un anno prima a Åre nel corso delle finali della Coppa del mondo, quando ero quarto all’ultimo intermedio e poi sono caduto».

E cosa hai pensato?

«Guardavo il tabellone perché ero sicuro, tagliato il traguardo, di aver fatto una bella gara. Ma il mio nome non c’era, perché davano solo i primi cinque. Allora ho chiesto ai soccorritori e mi hanno detto che ero arrivato sesto. Ero felice, ma la stagione ormai era andata».

Oltre allo sci cosa fai? Hai hobby?

«Gioco a Golf qui sulle 9 buche del Mondschein. Uno sport appassionante e che si sposa bene con lo sci».

Come gestisci la tua popolarità? Hai un agente?

«Il nostro è uno sport che non ha molta visibilità, quindi mi sono appoggiato fino ad oggi ad un’agenzia per valorizzare i pochi spazi che abbiamo a disposizione sul cappellino e sul casco. Adesso sto cercando di capire come muovermi in autonomia».

Hai un manager?

«No, ma ho un fans club diretto dal mio amico Stefano Kratter, figlio del titolare del Mondschein».

Come gestisci i social?

«Li curo da me, ma è impegnativo, porta via parecchio tempo. Vedremo in futuro».

Obiettivi?

«Tornare fisicamente a posto al cento per cento e ripartire da dove ho lasciato, da quel sesto posto in discesa libera. Non sarà facile, ma ce la sto davvero mettendo tutta». —





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