Da piazza San Marco alla Marmolada: il sogno ora è realtà

La performance degli ultramaratoneti Da Roit e Secco 46 ore di corsa dormendo appena 40’: «È stato stupendo»
Di Gianni Santomaso

ROCCA PIETORE. Il campanile di San Marco e la Punta Rocca in Marmolada. La salsedine e la neve fresca. In mezzo mille nature, mille culture, tanta gente da conoscere o da riscoprire al tramonto, nel silenzio della notte, fra le voci del giorno. Il tutto per realizzare un sogno. I due ultramaratoneti bellunesi, William Da Roit, 48 anni, ed Elvis Secco, 38, ce l'hanno fatta. Partiti sabato alle 21 dal campanile di San Marco a Venezia sono arrivati lunedì sera alle 19.05 a Punta Rocca sulla Marmolada. Quarantasei ore tra corsa e camminata e appena 40 minuti di sonno perché troppo rischia di fregarti il motore.

Il giorno dopo William dorme e risponde al telefono ancora assonnato. Ma ci mette un attimo a tornare sul pezzo, l'adrenalina in corpo non se n'è andata del tutto. «Ora sono da rottamare», scherza, «ma è stata una cosa stupenda. Ho coronato il sogno che avevo da bambino: unire il polo sud e il polo nord del mio mondo fantastico dell'epoca: piazza San Marco e la Marmolada. Sono cresciuto leggendo i libri di Messner e le avventure di Bonatti e fantasticavo sull'acqua salata del mare e sulla neve fresca sulla Marmolada. Bagnarsi nella salsedine della prima e lavarsi con la seconda. È assaporare la fortuna che abbiamo nel vivere qui, in questo posto strepitoso».

William, il sogno lo aveva accarezzato lo scorso anno, ma poi era svanito all'ultimo. «Mi sento un solitario, quindi avevo provato a farla da solo, ma sul Fedaia mi ero bloccato. E allora quest'anno ho chiesto aiuto ad Elvis, che non ci ha pensato nemmeno un secondo a dirmi s’, anche se per lui era la prima esperienza in montagna. Grazie a lui ho scoperto lo spirito di squadra che contraddistingue le cordate sui monti e che non conoscevo».

L'ascensore che li ha portati in cima al campanile di San Marco è stata l'ultima cosa meccanica che hanno utilizzato. Poi via, solo scarpe sulla terra, sull'asfalto, sulla roccia. Al tramonto, nella notte, all'alba, sotto la pioggia, colpiti dal vento. Dietro di loro l'auto con il fotografo Davide Dal Mas, i cambi e i rifornimenti. Davanti un mondo fatto di amici, parenti, conoscenti, curiosi che a ogni tappa sfoderavano striscioni.

Subito una deviazione per Spinea perché c'è l'amico che fa una sagra paesana, poi le campagne con una temperatura rigida e umidità. Dieci minuti di nanna senza accorgersi che era un cimitero. Alle quattro e un quarto ecco il centro storico di Treviso immerso nel silenzio. Follina e il San Boldo, Trichiana, Riva del Boscon a mangiare polenta, capriolo e soppressa dai suoceri di Elvis. Il Mas e la Stanga. «A ogni posto un gruppo di persone, una festa e il magón”. Che tradotto in dialetto è una commozione, ma che in italiano non rende l'idea.

Alle miniere, vicino al locomotore, i Forrest Gump bellunesi decidono che serve riposarsi. «Abbiamo messo la sveglia», dice William, «mezz'ora non di più, sul cemento, come le iene con un occhio aperto e uno chiuso. Se è troppo comodo o troppo tempo sei fregato, non riparti più». E invece c'è la Marmolada da conquistare, passando per piazza Libertà, Listolade, Cencenighe, Avoscan, il lago di Alleghe, i Serrai di Sottoguda. «Sul Fedaia sono andato in crisi, mi addormentavo mentre andavo, avevo un senso di nausea. Elvis è stato grande, mi ha spinto , anche perché Filippo Beccari, la guida alpina, ci aveva avvertito: se arrivavamo troppo tardi, col buio, bisognava rimandare la salita in Marmolada».

Nemmeno per idea. In due ore e mezza, in cordata con Beccari, Punta Rocca è presa. «Il vento gelido», sottolinea William, «ha reso l'infinito panorama limpido ed emozionante. E ho ripensato alla strada fatta, ai luoghi visti, all'affetto incontrato».

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