De Biasi detta le regole ai giovani: «Tornate a privilegiare la tecnica»

L’ex tecnico del Torino e dell’Albania a Euro 2016 proporrà un camp in giugno a Cortina e San Vito «Pressing, fuorigioco, linee e raddoppi servono a poco se poi ti passano la palla e non sai stopparla»

CORTINA. «Non importa se non andrai in serie A, quello che conta sono la passione, l’impegno, la dedizione con cui fai le cose: questo farà diventare i ragazzi uomini migliori».

È il pensiero di Gianni De Biasi, oggi commentatore per la Rai, ex allenatore della nazionale albanese ad Euro 2016, del Torino, del Modena, del Brescia. Assieme a Otello Di Remigio, supervisore delle scuole calcio Milan nel Triveneto, proporrà due settimane del camp “Italia football talent” ai ragazzi dai 6 ai 16 anni: la prima a Cortina/San Vito dal 22 al 28 giugno, la seconda a Corvara/La Villa dal 29 giugno al 5 luglio.

«Saremo uno staff di primissimo livello con gente che allena in varie società e che Otello conosce benissimo. Osserveremo, daremo consigli e ci faremo un’idea. Vedremo se emergeranno delle qualità, se c’è chi vuole affinarle e mettersi alla prova».

Perché il talento serve di certo, ma ci deve essere anche la passione...

«Quando, nei primi anni ’90, allenavo nel settore giovanile del Vicenza i ragazzi avevano tanta passione e voglia. Non solo di giocare a calcio. Avevano chiaro in mente quello che avrebbero voluto fare da grandi. Oggi in generale ne vedo meno. Mi pare sia più difficile capire le tendenze, le loro aspirazioni e a volte finiscono per seguire una strada che non è la loro. E non va bene, perché come fai a fare bene una cosa se non hai la passione? Durante la settimana di camp credo di avere quel po’ di esperienza per riconoscere quelli che al di là delle qualità hanno passione e quelli che “non vengo perché piove”. È fondamentale perché la volontà e la determinazione ti aiutano ad arrivare in alto anche se madre natura non ti ha dato tutto».

Lei era così?

«Da piccolo mi sono sempre detto che il mio modo per evadere dai 3 mila abitanti di Sarmede era riuscire ad arrivare in serie A. Ho sempre inseguito questo sogno e poi ci sono arrivato. Ai ragazzi dico: se uno non arriva in serie A non importa, ma è fondamentale che si sia messo in gioco, che abbia dato tutto, che abbia messo costanza e determinazione con lo scopo di crescere, di migliorarsi, di non fermarsi al primo scalino, di porsi sempre nuovi obiettivi. Se avrà fatto così magari non diventerà un calciatore, ma sarà un bravo ingegnere, un bravo idraulico, un bravo medico».

A volte, al bar, qualcuno rimpiange la tecnica, i piedi buoni del passato. È solo nostalgia o c’è del vero?

«La questione di fondo è questa: la dimestichezza con un attrezzo la migliori se lo utilizzi. Io, quando ero ragazzo, giocavo tutti i pomeriggi dalle 2 alle 8 dietro la chiesa con i miei amici. Con il pallone fra i piedi dovevi superare vari ostacoli naturali e giocando, dribblando, tirando, diventavi bravo. E loro, gli amici, vedevano che eri più bravo degli altri. Ma tu continuavi ad affinare tutti i giorni la tua tecnica. Oggi a questo tipo di attività i ragazzi dedicano meno tempo. Negli anni’90 è passata l’idea che il calcio fosse aggressività, pressing, fuorigioco, linee, raddoppi. Dobbiamo tornare a mettere davanti a tutto la capacità dei ragazzi di addomesticare la palla e di pensare a quello che possono fare prima che la palla gli arrivi e senza avere uno spartito da recitare a memoria».

I camp possono essere anche un momento di confronto per gli allenatori della zona?

«Quelli dell’Alpago verranno a Cortina assieme ai loro ragazzi. Rubare qualcosa del lavoro degli altri è sempre importante. Però dico sempre che occorre tirar fuori quello che è nostro e non scimmiottare gli altri. Vendiamo quello che sappiamo, non ciò che passa in televisione». —

Gianni Santomaso

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