Emanuele Buzzi sulle orme del nonno

SAPPADA. Il nonno, Bruno De Zordo, uno dei talenti della gloriosa scuola del salto di Cibiana, visse il sogno olimpico negli anni Sessanta. Lui, uno dei talenti sappadini degli sport invernali, le Olimpiadi le vivrà tra qualche giorno.
Emanuele Buzzi, ventitreenne emergente dello sci alpino azzurro, è pronto per Pyeongchang 2018, un sogno a cinque cerchi che aveva accarezzato durante l’estate, perduto dopo le prime gare di stagione e riagguantato grazie a prestazioni di eccellenza nel mese di gennaio.
«Già dall’estate avevo dichiarato che l’obiettivo 2017-2018 sarebbe stata la convocazione olimpica», dice Emanuele. «A inizio stagione pensavo che in Corea sarei potuto andarci, dopo le prime gare invece l’ho visto come un traguardo lontano, a gennaio ho ricominciato a crederci e ora mancano poche ore all’imbarco: dopo aver rischiato di rimanere a terra, la soddisfazione per la chiamata è ancora più grande».
C osa chiedi a questi Giochi?
«Non mi sono dato alcun obiettivo particolare. Non ho pressioni. Cercherò di vivere al massimo questa esperienza che prima di me ha vissuto nonno Bruno, esperienza che ha sempre rappresentato una sorta di orizzonte per me: in camera dal 2006 tengo un pettorale dello sci alpino dei Giochi di Torino, regalatomi da un amico di famiglia. Sarà emozionante poterlo sostituire con il mio».
Arrivi alla vigilia delle Olimpiadi forte di due risultati importanti: meglio il 10° posto di Garmisch o l’11° di Kitzbühel?
«A Garmisch è stato bello, c’era un gran tifo, è stato un decimo posto che ha confermato che stavo bene. Ma Kitz è Kitz».
Cosa non ha funzionato a inizio stagione?
«Arrivavo da un’ottima estate, avevo termini di paragone importanti, vale a dire i nostri big: stare lì in scia a loro era un grande passo in avanti. Avevo trovato quella solidità e sicurezza, sia fisica sia tecnica, che prima non avevo. Non sono riuscito a spiegarmi perché i risultati non siano arrivati subito: forse mi sono messo troppa pressione. Certo è che ero deluso».
A proposito di big: come è stare in squadra con gente che si chiama Fill, Paris e Innerhofer?
«Mi è sempre piaciuto confrontarmi con gente più esperta e più forte. Da loro posso non solo imparare tanto osservandoli ma anche chiedere consigli. Quando ho chiesto, ho sempre avuto un aiuto».
Parliamo dei tuoi coetanei. Chi ti sta impressionando?
«Troppo facile dire Kristoffersen: è un fenomeno. Ridimensionato però dal fatto che si trova a gareggiare contro lo sciatore più forte di tutti i tempi: se non ci fosse stato Hirscher, Henrik avrebbe una decina di successi in più. Ma attenzione anche a un altro 1994, lo svizzero Gilles Roulin».
Il tuo amico Silvano Varettoni, al tuo debutto in Coppa del Mondo tre anni fa, disse che eri uno da podio di Coppa.
«Per il podio c’è ancora tanto lavoro da fare. Per ora il mio obiettivo è stare costantemente nei quindici e nei dieci».
Come ti vedi tra 4 anni?
«Spero di essere lì davanti».
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