Fondriest e la Marmolada. «Salita durissima arrivai a odiarla»

L’ex campione del mondo commenta la tappa sul Fedaia di sabato.

«Ora la tecnologia aiuta i corridori, prima non era possibile fare così tanta salita»

Gianluca de Rosa
Maurizio Fondriest
Maurizio Fondriest

BELLUNO

Una gamba malconcia e quel rettilineo in salita che non finiva più: un pomeriggio di fatica che Maurizio Fondriest non ha dimenticato, a 35 anni di distanza, tanto da fargli esclamare: «La Marmolada? L’ho odiata».

Il ritorno del Giro d’Italia sulla Marmolada è un colpo al cuore dell’ex ciclista trentino. Ricordi indelebili, legati al suo primo anno da professionista.

Era il 1987 e quella tappa arrivava a Canazei, dopo un passaggio sulla Marmolada piena zeppa di tifosi: 35 anni dopo che tappa ti aspetti?

«La salita della Marmolada nella prima parte è spettacolare. Il passaggio a Sottoguda è molto bello, poi da Malga Ciapela la strada cambia. Diventa difficile da affrontare. I lunghi rettilinei a pendenze elevate sono duri da affrontare, a livello psicologico più che di gamba. I tornanti aiutano, si cerca con lo sguardo quello successivo trasformandolo in un piccolo traguardo da raggiungere. Il rettilineo fa perdere punti di riferimento. L’ultimo tratto dell’ascesa è così».

Come è cambiata la corsa rosa in questi anni?

«Oggi è più difficile, le tappe sono durissime. Impensabile ai miei tempi fare tutte queste tappe di montagna. Sono cambiate le biciclette, i rapporti moderni permettono di affrontare qualsiasi salita. Ai miei tempi salivamo sulla Marmolada col 42/25, sulle Tre Cime di Lavaredo, che ricordo come un’altra salita ripida e durissima; c’era Battaglin che saliva con la “tripla”. Oggi, nell’ultima settimana del Giro, vengono concentrate esclusivamente tappe di montagna, una dopo l’altra ed una più dura dell’altra. Ai miei tempi in una corsa a tappe c’erano anche cento chilometri di cronometro, oggi di tappe a cronometro se va bene ce ne sono due, tre al massimo».

Scelta dettata dalla spettacolarità della montagna?

«Certo, una tappa di montagna permette ai tifosi presenti a bordo strada di godersi lo spettacolo del Giro in un lasso di tempo, tra i primi e gli ultimi, che arriva anche a mezz’ora. Il resto lo fa il paesaggio. Un mix che invoglia la gente ad assieparsi sulle salite già due giorni prima. Lo spettacolo del ciclismo di oggi sta nelle tappe di montagna, ma tutto questo è reso possibile dalla tecnologia che aiuta molto i corridori. Oggi per la vittoria finale sono favoriti gli scalatori. Gente come Moser o Saronni, campioni dei miei tempi per fare un paio di nomi, non avrebbero mai vinto un Giro così».

Restando nel bellunese, c’è una salita che Fondriest ricorda con piacere?

«Il Giau. Lo feci per la prima volta nel 1989 con la maglia di campione del mondo addosso. Arrivammo in vetta e ad accoglierci trovammo una fitta nevicata».

A proposito del presente che Giro è quello che si appresta a vivere il rush finale?

«Detto che Carapaz è il grande favorito, bisognerà vedere che distacchi ci saranno prima della partenza di Belluno. La tappa della Marmolada potrebbe dire tanto e niente. In caso di distacchi superiori ai due minuti e mezzo non ci sarà spazio per attacchi da lontano, la musica potrebbe cambiare con distacchi più contenuti. Non bisogna dimenticare che nella tappa conclusiva di Verona c’è una cronometro che potrebbe stravolgere le carte in tavola. Mi è piaciuta tantissimo la tappa di Torino, unica grande città d’Italia che permette di abbinare la passerella cittadina caratterizzata da ali di folla incredibili alla montagna».

Ed il ciclismo italiano che momento vive?

«Manca il ricambio generazionale. Con Nibali sulla strada del tramonto, non c’è all’orizzonte un ciclista italiano in grado di affermarsi in una grande corsa a tappe. Di bravi atleti ce ne sono diversi, cito Ciccone ad esempio che mi piace, ma non è ancora pronto per vincere un Giro, un Tour o una Vuelta».

E Fondriest cosa fa oggi?

«Ho iniziato da un po’di tempo a seguire alcuni ciclisti giovani. Buitrago sta facendo benissimo, mi rivedo in lui. Anche Nicola Conci è una promessa. C’è bisogno di giovani per continuare a far emozionare il popolo del ciclismo».

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