“Geni” , vita spericolata fra atletica e body building

SEREN DEL GRAPPA. Se vi capita di entrare alla palestra Kilisukili, in zona artigianale a Rasai di Seren del Grappa, verrete accolti dal ritmo della tecno progressive house e dalla mascotte di quel luogo, che non è il consueto cagnolino, ma si chiama Silvano, è arancione e non ha il pelo.
Il titolare della palestra, sebbene sia improprio definirlo così, visto che egli ritiene che quella sia una famiglia e non ci debba essere un rapporto tra proprietario e clientela, è un uomo di 124 chilogrammi, in ottima forma, nato a Feltre il 16 gennaio del 1960 e che risponde al nome di Eugenio Mares, per tutti Geni, un autentico conoscitore dello sport, dapprima come atleta, sia nell'atletica leggera, sia nel body bulding, quindi come istruttore di quest'ultima disciplina.
Di una cosa si può star certi, Eugenio Mares, con quel suo fare scorbutico soltanto per chi non lo conosce, non ha mai messo in mostra il suo palmares di atleta e tutto sommato ne parla con ritrosia. Non si può prescindere dalle medaglie conquistate, però, se si vuol entrare pienamente nel personaggio.
“Geni” a Feltre e una autentica istituzione, ma non molti sanno che tra il 1975 e il 1978 ha conquistato dei risultati incredibili, come racconta egli stesso su insistenza del giornalista.

«Due titoli italiani della categoria Ragazzi nell'alto e nelle prove multiple, quattro titoli italiani da Allievo, perché vinsi la categoria sia a 16, sia a 17 anni, nell'alto e nell'octathlon, i Giochi della gioventù, fase nazionale al San Paolo di Napoli nel 1977 e i Giochi mondiali studenteschi, sempre nell'alto, a Saint'Etienne».
Alle medaglie si accompagnano i record, che sono forse ancor più impressionanti. Geni Mares detiene, infatti, tuttora il record provinciale Cadetti dell'alto con 1.95, il record Allievi provinciale e regionale dell'alto e terza prestazione all time Allievi, con 2.15 (una misura pazzesca), fatto registrare a Firenze il 18 giugno del 1977, i record provinciali del peso Juniores con 12.67 e Assoluti con 13.38, il record provinciale del decathlon Juniores e Assoluti, risalente al 1979, con 6708 punti.
Oltre a quelli ufficiali, altri due primati egli ricorda con piacere.
«Quando divenni campione italiano Cadetti nelle prove multiple feci registrare nel peso la misura di 14.64, mentre in allenamento nel luglio 1977, allo stadio dei Marmi, sotto gli occhi di Marco Tamberi, papà di Gianmarco, segnai per due volte la misura di 2.20».
La storia nell'atletica leggera di Eugenio Mares, però, non si conclude con le medaglie, ma prosegue con le convocazioni in nazionale.
«Dal 1976 al 1978 ho vestito otto volte la maglia azzurra Juniores, mentre nel 1980 ho indossato la maglia della nazionale a Copenaghen, quando ormai ero già passato al decathlon, nell'incontro internazionale con Danimarca, Olanda e Gran Bretagna. Nella mia disciplina mi trovai a gareggiare con il due volte campione olimpico, l'inglese Daley Thompson. Chiusi, invece, la mia esperienza con l'alto nel 1977 agli europei Juniores di Donetsk, dove gareggiai con Yashenko, quando saltai 2.04 ma ero già infortunato».
Quali le ragioni del tuo passaggio dall'alto al decathlon?
«Il motivo per il quale non ricordo volentieri l'atletica sono gli infortuni, che viceversa devo ringraziare per avermi condotto al body building. Proprio l'infortunio al ginocchio mi costrinse a uno stop nel 1978 e nel 1979. Decisi, perciò, di passare al decathlon, ma per farlo dovevo irrobustirmi nel tronco. Aumentai 10 kg di massa muscolare e nel 1980 ero uno dei tre migliori atleti italiani nel decathlon. Quell’anno ero militare, per cui le Olimpiadi di Mosca erano precluse. Sfiorai le Olimpiadi invernali di Sarajevo del 1984, in realtà. Ero passato dalla Fiat Iveco Torino alle Fiamme Oro e mi proposero di fare un test per la nazionale di bob. Arrivai ad avere risultati in spinta simili a quelli di Germania, Svizzera e Russia, ma ormai il virus del body building si era innestato in me e rinunciai a quella possibilità».
Quando hai deciso di chiudere con l'atletica e dedicarti al body building?
«A un certo punto non ne ho potuto più degli infortuni, sono uscito dalle Fiamme Oro e sono andato a Padova, per impararlo e praticarlo. In breve tempo, da autodidatta sono diventato uno dei più importanti atleti e preparatori di questa disciplina tra gli anni Ottanta e Novanta, vincendo già nel 1985 i campionati italiani».
A distanza di trent'anni pensi di aver fatto la scelta giusta lasciando l'atletica e le Fiamme Oro?
«Tornando indietro rifarei tutto con grande gioia. So di aver anche sbagliato in talune circostanze, ma ho sempre pagato sulla mia pelle, mi sono divertito, ho girato il mondo, sono consapevole di aver preso una scelta anticonformista. Sono scelte che ho preso da solo, per le quali ho risposto in prima persona, senza l'aiuto di nessuno, se non di mio padre Luciano».
Qual è il tuo rapporto con la palestra e con gli atleti che alleni?
«Non ho mai fatto questo lavoro per scopo di lucro, perchè interpreto questa attività come fosse una famiglia allargata. Chi viene qui lo fa per allenarsi seriamente e non per moda. Qui si ritrovano persone una diversa dall'altra, ma accomunate dalla stessa passione. So che il mio carattere può risultare scontroso, ma chi mi conosce sa che non è così, sono solamente molto geloso della mia privacy. Passo gran parte del mio tempo in palestra, non partecipo a eventi mondani, sono felicemente single e i figli che non ho avuto sono le persone che frequentano Kilisukili, perché mi danno entusiasmo ogni giorno. Fuori da qua mi si può trovare al massimo in due posti, alla Torrefazione di Roberto Marchet e alla Buca da Gigi Trevisson».
Hai ripreso anche ad allenarti?
«Attualmente sono in forma smagliante, forse per tornare a gareggiare e questo grazie ad alcune persone. Innanzi tutto all'ospedale di Feltre e al mio amico Livio Simioni, perché mi hanno riscontrato una malformazione ereditaria legata all'asma, che avevo da venticinque anni e mi hanno fatto ringiovanire di trent'anni. Poi, nel momento di massima difficoltà mi sono state vicine tre persone, sia come collaboratori, ma anche e soprattutto con un legame pari a quello che ha un figlio per il padre: Ivano “l’asiatico” Metti, Angelo “Angelin” Meletti e Matteo “zucca gialla” D'Alberto. Quest'ultimo, peraltro, se continuerà a impegnarsi come sta facendo potrebbe raggiungere nel body building i miei livelli. Mi hanno aiutato a dirigere la palestra e ora che sto bene devo ringraziarli anche pubblicamente. Fanno parte della brigata anche Ylias Rech e Davide “Matrix” Mattia».
Con lo sport provinciale che rapporti hai intrattenuto?
«Non sono mai stato cercato da nessuno, per cui direi che i rapporti con lo sport di questa provincia sono nulli. Da ragazzo ho militato nell'Astra Quero e mio padre è stato uno dei fondatori dell'Ana Atletica Feltre, ma qui si chiudono i miei rapporti con lo sport bellunese».
E delle mille leggende che si raccontano a Feltre e che hanno per protagonista Geni Mares, cosa pensi?
«Tutto ciò che si dice su di me, perché so che in giro si raccontano tante storie su di me, serve solamente per farmi addormentare con il sorriso la sera».
Chi è adesso Eugenio Mares?
«È una persona che ha scelto di vivere in modo rischioso, che davvero in pochi possono dire di aver conosciuto profondamente, che ha pagato personalmente per gli errori che ha commesso, con una grande passione, oltre che per l'attività che conduce, anche per il ciclismo, la pesca e un buon bicchiere. Ho perso mia madre e mio fratello, per cui la mia famiglia è composta da mio padre Luciano e mia sorella Antonella».
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