Genuin, un pezzo di storia del fondo. «A 81 anni faccio 15 chilometri al giorno»
l’intervista
HHa passato gli ottanta, da poco meno di un anno e mezzo, ma ogni giorno si fa una quindicina di chilometri sulla “sua” piana. Sci ai piedi, naturalmente. Sì, perché lui è Angelo Genuin, uno dei tanti fondisti che ha avuto come culla la Valle del Biois e, in particolare, Falcade.
Classe 1939, Genuin è stato atleta delle Fiamme Oro e della nazionale. Non ha vinto medaglie olimpiche e mondiali, ma ha saputo distinguersi ripetutamente a livello nazionale e che, una volta chiusa la carriera agonistica, si è fatto apprezzare come tecnico.
Angelo, prima della sua storia, ci parli di questa cosa dei 15 chilometri …
«Esco ogni mattina o quasi e sulla piana faccio sui 15 chilometri. Sono un tradizionalista: su dieci uscite, nove le faccio in tecnica classica».
Ecco, possiamo cominciare con la sua storia.
«Le prime garette le ho fatte con la scuola, a Falcade Alto, grazie al maestro Zandò. Ci facevamo prestare gli sci e ci sfidavamo. A metà anni Cinquanta le prime gare strutturate. Prima no, perché dovevo lavorare. Appena finita la scuola ho iniziato come garzone di macelleria e perciò lavoravo anche in inverno. I miei amici, però, sciavano e io, che volevo sciare a mia volta, ho così deciso di cambiare, mettendomi a fare il muratore: durante il periodo freddo le imprese non lavoravano e così io potevo dedicarmi allo sci».
È i risultati sono arrivati presto.
«Ho iniziato con le gare zonali, con lo Sci club Val Biois. I primi appuntamenti importanti sono stati i campionati italiani del 1957 a Folgaria: ero uno dei più giovani – allora si correva insieme Aspiranti e Juniores – e arrivai trentesimo. L’anno dopo, a Bardonecchia, giunsi ventiseiesimo. Nel 1959, a Bormio, giunsi ottavo. Davanti a me, rispettivamente sesto e settimo, il canalino Franco Manfroi e lo zoldano Eugenio Mayer. In quell’occasione vincemmo, come Veneto, la staffetta Juniores. E il 22 ottobre di quell’anno, il giorno dopo aver compiuto vent’anni, venni arruolato nelle Fiamme Oro. Nel 1960 sono passato Senior, con l’altopianese Rizzieri Rodeghiero come allenatore».
E poco dopo è entrato in nazionale.
«Sono stato azzurro dal 1962 al 1965. E in carriera ho vinto trentatré gare di qualificazione nazionale. Tra queste, mi piace ricordare quella che era la classica di apertura della stagione, la 15 chilometri della Coppa Marcon al Passo Rolle: la vinsi tre volte consecutive. E due volte sono salito sul podio, sempre nella 15 chilometri, ai campionati italiani».
Ha avuto pure la soddisfazione di partecipare alle Olimpiadi.
«Partii con il numero 3. C’era poca neve. A un certo punto, con la rotella di un bastoncino ho urtato una radice, sono caduto mi sono dovuto ritirare, attorno al ventiquattresimo chilometro. Le Olimpiadi sono il sogno di ogni atleta ma averle vissute così un po’ di rammarico c’è, senza dubbio».
I Giochi, e il fondo, erano diversi da quelli di oggi.
«A quei Giochi avevamo due paia di sci. E ce li dovevamo preparare da soli. E ricordo anche che, durante i ritiri a Volodalen, quando di notte nevicava, al mattino si usciva per battere la pista con gli sci. Poi si faceva allenamento. Ora tutto è molto più strutturato e, per quanto riguarda l’allenamento, ora gli atleti di fatto non si fermano mai. Noi invece la preparazione, che era artigianale rispetto a oggi, la iniziavamo a fine agosto».
Che tipo di atleta era Angelo Genuin?
«Non avevo il fisico che avevano, ad esempio, Franco Manfroi o Giuseppe Steiner. Ma sopperivo alla cilindrata inferiore con tanto allenamento e con la cura della tecnica. Ricordo, ad esempio, al termine della visita di leva, ad Agordo, i miei coscritti sono andati a festeggiare a Pedavena mentre io con una scusa sono venuto su da Agordo a piedi per allenarmi. E quando ero in caserma, venivo da Moena a Falcade a piedi, per poter lavorare alla casa in costruzione senza perdere allenamento. Cercavo poi di studiare gli avversari. E anche il percorso di gara».
Ci parli un po’ dei suoi colleghi di allora.
«Giulio De Florian aveva una tecnica leggera, che gli permetteva di tenere anche con poca sciolina. Franco Nones era, agonisticamente parlando, cattivissimo: quando si metteva in testa un obiettivo, erano dolori per tutti. Steiner anche aveva un carattere molto agonistico. Manfroi era uno che non mollava mai. E che però, terminata la gara, sapeva tenere allegra la compagnia».
La sua soddisfazione più grande da atleta?
«È legata allo sci alpinismo e, nello specifico, alla vittoria nel Trofeo Mezzalama del 1975. Nell’edizione precedente eravamo arrivati secondi, quell’anno invece fummo noi a tagliare per primi il traguardo. Gareggiai con Bruno Bonaldi (marito della fondista e ciclista Maria Canins, morto nel 2016 a seguito di un incidente in bicicletta, ndr) e Luigi Weiss. Io dei tre ero il più vecchio: loro mi staccavano in salita e io recuperavo in discesa».
E la delusione più grande?
«Non essere rimasto in Nazionale con più continuità».
È stato anche tecnico: maestro e allenatore federale.
«Per cinque anni sono stato allenatore della squadra Juniores e Seniores B. Poi, ai tempi della presidenza Pollazzon, ho allenato anche il comitato veneto».
Quali sono stati gli atleti che, da tecnico, più la hanno impressionata?
«Roberto Primus e Giulio Capitanio».
Le faccio i nomi di due atleti della Valle del Biois, che hanno saputo vestire l’azzurro a Mondiali e Olimpiadi oltre che distinguersi in Coppa del mondo: Fulvio Scola e Magda … Genuin.
«Fulvio è sempre stato un ragazzo serio, scrupoloso. Non aveva un fisico eccezionale ma applicandosi ha saputo cogliere risultati importanti. Di Magda dico che se in gara avesse avuto la cattiveria dell’altra mia figlia, Fabiana, avrebbe forse ottenuto più di quello che ha fatto. Era comunque puntualissima nei lavori che doveva fare. Il suo risultato più bello? Il quinto posto nella sprint ai Giochi di Vancouver».
Oltre che essere stato un fondista, lei è stato anche un granfondista.
«Ho fatto 5 Marcialonga, tutte dopo aver finito con l’agonismo. E anche tre Vasaloppet: un anno alla Vasa facemmo 45 chilometri sotto la pioggia, nella seconda metà del tracciato non c’erano più i binari e facevi più fatica in discesa che in salita. Nel mio curriculum ci sono anche la Finlandia-hiihto e la Birkebeinerrennet».
Quale la più bella?
«La Vasaloppet. Se uno non corre la Vasa non può ritenersi un fondista».
Che consigli darebbe a un giovane fondista?
«Credo che sia importate che un ragazzo faccia sport, ma deve essere fatto con impegno. Non importa che uno diventi un campione o meno, l’essenziale è la serietà, anche nel divertimento: E credo anche che se un ragazzo entra in contrasto con l’allenatore che magari lo ha escluso da una selezione, non deve mollare ma, al contrario, impegnarsi ancora più a fondo per dimostrare al tecnico che aveva torto a lasciarlo fuori». —
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