Ghedina: «Ho dato tanto alla mia Cortina e ricevuto poco»

L'ex discesista si racconta, tra sorrisi e delusioni: «Dopo i successi mi hanno ripudiato»

CORTINA. Kristian Ghedina sembra uno di quei personaggi usciti dai cartoni animati. Sempre sorridente, anche quando deve nascondere l’amarezza per essere stato ripudiato troppo presto dalla “sua” Cortina. Un campione per molti, ma non per tutti, amante della vita spericolata, vissuta sempre di corsa, senza un attimo di tregua, fino a rischiare di rimetterci le penne. Eppure continua a sorridere, ripetendo che «il destino decide per noi, inutile riflettere su cosa fare o non fare».

Ghedina è così, prendere o lasciare. Senza mezze misure, ma con la schiettezza, l’onestà e la sincerità tipiche dei duri di montagna, che in fondo al cuore nascondono un animo tanto semplice quanto nobile.

Partiamo dalla fine, cosa fa oggi Ghedina?

«Dopo il divorzio in estate da Kostelic, del quale sono stato l’allenatore per le specialità di velocità dal 2012 ad oggi, pensavo di chiudere con il circo bianco per dedicarmi ad altre attività, su tutte il progetto Mover Cortina, che ho lanciato lo scorso anno assieme a un gruppo di amici e di cui oggi sono anche maestro di sci. Poi è arrivata la chiamata di Ondrej Bank, atleta ceco che lo scorso anno ha avuto un brutto incidente in pista. Oggi alleno lui per la discesa libera, ma l’inizio di stagione non è stato granché visto che è uscito in due gare su due. Lo vedo intimorito, segno che probabilmente l’incidente dello scorso anno non è stato ancora del tutto assorbito. Forse non si fida ancora del tutto delle sue condizioni fisiche. Da Santa Cristina gli starò dietro come un’ombra e sono convinto che potrà regalarmi qualche soddisfazione perché è un ragazzo che ha qualità».

Kristian Ghedina testa la pista della discesa sulla Olympia con una spaccata
La famosa spaccata di Ghedina sulla Streif

Eppure tra Kostelic e Bank c’era la possibilità di lavorare per la nazionale italiana, come sono andate realmente le cose?

«Con Kostelic si è andati troppo per le lunghe prima di decidere di dividere le nostre strade e questo mi ha privato della possibilità di lavorare per la nazionale azzurra, dove avrei ricoperto il ruolo di aiuto allenatore per la discesa libera. Mi dispiace aver perso questa occasione, ma sono convinto che si ripresenterà in futuro. Sono un tipo ottimista di natura e il ruolo dell’allenatore di sci ha le porte scorrevoli».

Dal presente al passato, partendo dalla celebre “spaccata” sulla Streif a Kitzbuhel.

«È nata per gioco, da una scommessa con mio cugino Francesco (gestore della pizzeria Cinque Torri a Cortina e di proprietà dello stesso Ghedina, ndr) che mi ha sfidato dicendo che non sarei stato capace di fare una cosa del genere in gara dopo avermi visto che la facevo al mattino in ricognizione. Fece scalpore, perché sono arrivato al traguardo passando in testa davanti a 15, forse 20 mila persone. La gara di Kitzbuhel è l’evento sportivo più importante di tutta l’Austria. Da sempre».

Rimanendo ai tempi delle gare, ci tracci il profilo dei suoi avversari, simpatici e antipatici compresi.

«Quando ho cominciato a gareggiare c’erano gli svizzeri che vedevo un po’ come degli dei. Parlo di Zurbriggen, Peter Muller. Poi c’era un certo Girardelli. Ricordo che mi guardavano con indifferenza all’inizio, poi però in pista mi sono guadagnato il loro rispetto, avendoli anche battuti in qualche occasione. L’atleta che ricordo con maggior piacere, invece, è un francese: Luc Alphand, con il quale avevo instaurato un ottimo rapporto. Per due volte mi ha strappato dalle mani la coppa del mondo, ma nonostante questo eravamo molto amici. Mi proponeva sempre alleanze in pista Italia-Francia, per combattere lo strapotere austriaco. A proposito di austriaci posso dire che Ortlieb non lo sopportavo proprio».

Impossibile non aprire una parentesi dedicata ad Alberto Tomba.

«Con lui andavo d’accordo, però ha un carattere particolare, piace o non piace. Ecco, il suo carattere a me non piaceva granchè, ma diciamo che il dualismo è stato inventato dalla stampa e non certo da noi. Un po’ di caos nella vicenda l’ha creato il padre, che se la prese per una intervista che rilasciai, però tra noi c’era tanto rispetto. Alberto è cresciuto, sportivamente parlando, proprio qui a Cortina».

Abbandonate le piste, la vita sportiva di Ghedina è proseguita a bordo di una macchina da corsa. E la passione per i motori per poco non si è rivelata fatale, con quel drammatico incidente.

«Di cui ancora oggi non ricordo niente. L’ipotesi che rimane in piedi è lo scoppio di una gomma stando anche alle rilevazioni della polizia stradale. Di certo andavo veloce, forse 200 all’ora. Sono stato in coma, poi per fortuna mi sono risvegliato. Alla fine è andata bene e questo è quello che conta. Io sono fatalista, se una cosa deve succedere, succede. Sull’incidente oggi, a distanza di tanti anni, posso affermare con certezza che se mi fosse successo qualcosa sarebbe scoppiato uno scandalo. La passione per i motori era comune a tanti sciatori perché tra la corsa in macchina e la corsa sulle piste da sci esistono parecchie similitudini, velocità in primis».

Ancora oggi Ghedina vanta un tifoso d’eccezione, Caio Saviane.

«Caio è dell’Alpago, l’ho conosciuto sulle piste perché seguiva le gare autonomamente essendo un grande appassionato di sci già prima che gareggiassi io. Si manteneva sempre in disparte, educatissimo e mai invadente. Un giorno lo ha notato mio zio e da lì è nato questo rapporto speciale, non solo con me, ma anche con la mia famiglia. Sulla macchina ha un santino con la mia foto e la scritta W Kristian, addirittura ha chiamato suo figlio Kristian raccomandandosi all’ufficio anagrafe che lo scrivessero con la K iniziale e non la C».

Argomento spinoso è sicuramente il rapporto con Cortina.

«Quando c’era da festeggiare sono saliti tutti sul carro dei vincitori, salvo poi ripudiarmi presto. Non sono il tipo che fa polemiche, ma dico solo che tutto il mondo è paese. Ho dato tanto a Cortina e mi sarebbe piaciuto ricevere in cambio qualcosa, un segno tangibile almeno in occasione dell’addio alle gare, ma questo non è mai successo. Ricordo che Kristian Ghedina, dopo Eugenio Monti, è stato il personaggio, non solo sportivo, più importante di Cortina a livello internazionale».

Parlando di Cortina non si può non affrontare il discorso dei Mondiali del 2021, cosa ne pensi?

«C’è tanta, troppa politica attorno a questo evento e della parte sportiva se ne parla poco. A livello personale, nonostante le tante voci del recente passato, tengo a chiarire che nessuno mi ha mai contattato o coinvolto. Purtroppo oggi la ricerca spasmodica del business rappresenta il vero problema dello sport moderno, portandolo sul ciglio del precipizio. È inaccettabile».

Eppure lo sci italiano vive un momento storico positivo. «Siamo secondi nel ranking mondiale dietro l’Austria e davanti alla Norvegia dei mostri sacri Jansrud e Svindal. Questo è sicuramente un aspetto molto positivo. Abbiamo una bella squadra, ma manca il leader, l’Alberto Tomba di turno per intenderci. Federica Brignone forse, a livello qualitativo, ha qualcosa in più degli altri, ma non è costante. Se trova l’equilibrio giusto può fare una carriera di primissimo livello».

Chiusura dedicata ai più piccoli che oggi si avvicinano al mondo dello sci, cosa vuole dire loro?

«Il vero problema non sono i ragazzi, ma i genitori. Una volta tutto partiva dalla voglia di divertirsi, ma c’era tanta disciplina. Ne so qualcosa io che sono cresciuto con un padre severissimo che mi ha insegnato tanto e una madre più spericolata che mi ha trasmesso quel lato spensierato e scanzonato che ha caratterizzato la mia vita. Oggi i ragazzi sono viziati, vogliono tutto e subito, senza sacrifici».

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