Gli sponsor italiani e la grande fuga Resiste solo Segafredo

LEGNANO, BIANCHI, SALVARANI, MAPEI: UN TEMPO DOMINAVAMO IL RE DEL CAFFÈ: IO MI DIVERTO E I RISCONTRI SONO ECCEZIONALI
Di Antonio Simeoli

di Antonio Simeoli

Legnano, Ursus, Bianchi. Poi Salvarani, Molteni, Scic, Del Tongo, Sanson, Carrera, Supermercati Brianzoli, Mapei, Mercatone Uno, Liquigas e Lampre. L’ultima a fine 2016. L’azienda dei fratelli Emanuele e Mario Galbusera dopo oltre un decennio ha alzato bandiera bianca costringendo Beppe Saronni a trovare il salvagente dagli arabi di Abu Dhabi. Anche lui, proprio come il calcio europeo.

Avete letto l’elenco? C’è la storia di un secolo di ciclismo italiano e non, c’è la storia del Giro d’Italia. Per quelle squadre hanno corso Alfredo Binda, Gino Bartali, Fausto Coppi, Felice Gimondi, Eddy Merckx. E ancora lo stesso Saronni, Francesco Moser, Gianni Bugno, Claudio Chiappucci, Marco Pantani, Paolo Bettini, Ivan Basso, Vincenzo Nibali. Per quasi un secolo l’Italia è stata una terra di ciclismo, di campioni e le grandi aziende facevano a gara per accaparrarsi i corridori migliori, se li soffiavano a vicenda. Ora l’incredibile paradosso: tra le 18 squadre World Tour non ce n’è una battente bandiera italiana. Gli sponsor tricolori se ne sono andati a gambe levate dalle due ruote a pedali nonostante i team del circuito mondiale siano pieni zeppi di nostri corridori, oltre sessanta in questa stagione.

Perché? Colpa della crisi innanzi tutto. Molte aziende hanno pensato a sopravvivere, rafforzarsi, ricollocarsi, ristrutturarsi prima di pensare a investire in pubblicità. Poi, nonostante i dati dimostrino che il ciclismo sia lo sport più redditizio per gli sponsor, anche più del calcio, una zavorra agli investimenti nel settore è arrivata nell’ultimo decennio dal ritorno dello spettro del doping. E allora? Se un’azienda come la Balocco, per diversi anni sponsor della maglia rosa al Giro d’Italia, ha confermato di aver in pratica raddoppiato il fatturato in dieci anni, molti se ne sono andati a gambe elevate.

L’esempio più clamoroso è ormai di oltre dieci anni fa e sta di casa a Sassuolo, terra di piastrelle e di Mapei, il colosso mondiale dei prodotti per l’edilizia guidato dall’ex presidente degli industriali, Giorgio Squinzi. A fine anni Novanta il capitano d’industria sbarcò nel ciclismo legando il suo nome a campioni e vittorie pesanti. Il simbolo di quello squadrone e di quel dominio è forse l’arrivo della Parigi-Roubaix 1996: nel velodromo primo Johan Musseuw, secondo Andrea Tafi, terzo Gianluca Bortolami. Leggendario. Poi i trionfi di Franco Ballerini. Quindi? Squinzi continua per un po’ a sponsorizzare le maglie della nazionale, sta per ritornare (si dice) in pista con una squadra guidata proprio dal compianto Ballerini, ma poi devia brusco nel mondo del calcio preferendo il “progetto Sassuolo”. Ed è l’inizio della fuga dei grandi marchi italiani dal ciclismo. Se ne va poi la Liquigas con il campione italiano di questi anni, Vincenzo Nibali, prima ricoperto di petrodollari del Kazakistan (Astana) e da quest’anno da quelli del Bahrain. Eccola la nuova frontiera del ciclismo, peraltro sempre più globalizzato.

I nostri grandi marchi? Ferrero, Barilla e gli altri? Niente da fare, investire 10-15 milioni di euro, se non di più (il budget del Team Sky di Chris Froome rasenta i 30 milioni annui), è troppo per il ciclismo. E anche la rivalità tra Fabio Aru e Nibali, molto costruita per la verità, non ha fatto scoccare la sperata scintilla negli sponsor. Mica come fece la Bianchi nel secondo dopoguerra, con l’Italia invasa dalle biciclette per necessità, capace di strappare alla Legnano quel Coppi che, prima della prigionia, aveva battuto Bartali in maglia Legnano al Giro del 1940.

C’è però un’eccezione alla fuga, forse una prima inversione di tendenza: Massimo Zanetti, mister Segafredo, 1,3 milioni di euro di fatturato nel mondo. «Mio padre mi portò a vedere il Giro quando ero bambino: c’erano Coppi in maglia Bianchi e Bartali in maglia Legnano, mi innamorai di questo sport ed ora eccomi qua» dice. Dopo o con Formula 1 e basket ecco il ciclismo, Sponsorizza la squadra Trek di John Degenkolb e del Pistolero Alberto Contador: quattro milioni l’anno fino al 2020. «E sapete cosa vi dico? – spiega – i riscontri nei nostri mercati sono eccezionali. Il ciclismo tira eccome».

E il doping, non ha paura di un effetto boomerang? Ti guarda dritto negli occhi: «Quello c’è in tutti gli sport» dice ridendo. Speriamo sia stata solo una battuta.

. @simeoli1972

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi