Il sogno di Giozet: portare alle Paralimpiadi la nazionale azzurra di rugby in carrozzina

Ex atleta di handbike, ora ha una nuova passione. «Siamo indietro sui migliori, ma basta poco per risalire la china»

Ilario Tancon
Davide Giozet in azione in una partita di rugby in carrozzina
Davide Giozet in azione in una partita di rugby in carrozzina

«Le Olimpiadi? Perché no? Magari troviamo due-tre fenomeni nel rugby in carrozzina e riusciamo a ribaltare gli equilibri mondiali e qualificarci per i Giochi. Oppure, scopro all’improvviso che una disciplina si adatta così tanto a me che confà talmente bene che…».

Davide Giozet, un passato da atleta dell’handbike (nel suo curriculum tre Giri d’Italia – dal 2010 al 2012 – e un campionato europeo), un presente da capitano della nazionale azzurra di rugby in carrozzina e da presidente di Sport Assi, non ha messo via del tutto il sogno a cinque cerchi; un sogno difficile, difficilissimo da realizzare ma non impossibile. Un sogno che aveva accarezzato cinque anni fa in vista di Rio, ma che poi è sfumato per una questione di classificazione.

«Sì, con l’handbike ero vicino a realizzare il sogno olimpico di Rio de Janeiro 2016, ero andato anche a fare una visita per la classificazione internazionale ma non c’è stato nulla da fare», racconta Davide, «con l’accorpamento delle categorie, mi sono ritrovato una categoria appena sopra rispetto alla precedente, una categoria nella quale avrei dovuto competere con atleti enormemente più avvantaggiati di me fisicamente e quindi non avrei avuto possibilità né di qualificarmi né di competere. Lo stesso discorso vale per l’atletica: sono al limite e per un nulla mi trovo a competere con atleti contro i quali avrei poche o nulle chance».

Una bella disdetta...

«Sì, anche perché classificatori in Italia non ce ne sono e quindi tutto si complica. Ma non mi perdo d’animo: a me lo sport piace, fa stare bene, continuo a praticarlo. C’è il rugby, ora anche il tennis».

Nel rugby potrebbero esserci delle possibilità di vivere un giorno l’esperienza a cinque cerchi?

«La situazione è questa: alle Olimpiadi partecipano solamente otto squadre, tre le europee. Le nazioni guida sono Giappone, Stati Uniti, Canada e Australia. Il gap che le due squadre di riferimento in Europa hanno, vale a dire Francia e Inghilterra, è ampio, anche se agli ultimi campionati del mondo lo hanno limato. Come Italia, siamo ancora parecchio lontani da Francia e Inghilterra e pure da altre nazioni. C’è un bel divario da colmare per arrivare ai loro livelli. Per farlo, dobbiamo aumentare il numero di praticanti e il livello di gioco. Per fare il salto di qualità, in realtà, potrebbe bastare poco: a rugby in carrozzina si gioca in quattro e se trovassimo un paio di ragazzi forti, si potrebbe in breve tempo recuperare posizioni, salire nell’élite mondiale e – perché no? – ambire all’Olimpiadi. Sognare si può sempre».

Come è la situazione italiana a livello di club, anche alla luce delle ultime due difficili stagioni?

«Il riferimento sono il Veneto, Milano e Roma. Lo scorso anno è partita Catania, a breve andrò a Cagliari dove si vuol far partire una squadra. L’auspico naturalmente è di riuscire a dare avvio all’attività in Sardegna e anche in altri luoghi d’Italia. Io e i miei compagni crediamo molto in questo movimento che dà la possibilità di fare sport anche ai tetraplegici che in tante altre discipline sono tagliati fuori».

Domani comincia Pechino...

«Seguirò queste Paralimpiadi con interesse. Ho vari amici nelle discipline che pratico ma non solo. Penso, per quanto riguarda l’handybike, all’eterna Francesca Porcellato, a Luca Mazzone e a Paolo Cecchetto. E poi Rita Cucurru, atleta del triathlon che è partita proprio dall’handybike. Naturalmente, controllerò con grande attenzione il rugby in carrozzina».

Lo sport paralimpico ha fatto passi da gigante in questi ultimissimi anni...

«Quando ho avuto l’incidente, diciotto anni fa, non sapevo quali fossero gli sport per persone disabili, sapevo che esistevano atleti come Oscar De Pellegrin o Germano Bernardi ma nulla più. Negli ultimi dieci anni, diciamo da Londra 2012, è cambiato molto, sia a livello di visibilità sia per quanto riguarda le strutture. Persone come Bebe Vio e Alex Zanardi, ma non solo, hanno fatto accendere i riflettori e ora la tv parla e mostra parecchio. È indubbio che la maggior visibilità fa sì che tanti ragazzi in più prendano spunto e passione».

Nei giorni scorsi sei stato in Val di Zoldo per un sopralluogo a sentieri che potrebbero diventare tracciati per escursioni di persone disabili, anche con la carrozzina.

«Ho detto volentieri sì all’invito degli amici di Dolomiti Extreme Trail e di Matches. Credo che per le nostre bellissime Dolomiti l’individuazione di percorsi da fare in carrozzina sia un valore aggiunto. Io a un turismo inclusivo ci credo».ilario tancon

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