Intrabartolo e Belluno, un amore che prosegue
L’attaccante ricorda gli anni che portarono i gialloblù fino alla serie C2
BELLUNO. Il pubblico lo ha amato e lo ama tutt’ora. Lui ha amato e ama tutt’ora la città, la squadra, i colori.
Andrea Intrabartolo non vive più a Belluno, ma idealmente lui e la città dolomiti restano una cosa sola. Perché dopo la formazione degli anni 70 recitata come una preghiera, ai tifosi gialloblù ancora si illuminano gli occhi se parli di “Intra” e dei suoi gol. Non fosse altro che, in aggiunta, ha regalato al Belluno la storica promozione in C2 del 2003. Un giorno, un’annata, un momento storico di cui è sempre bello parlare con lui che, in quel campionato, segnò la bellezza di 23 reti.
«In effetti a Belluno non scordano il passato. Quando giocavo lì, capitava spesso di sentir parlare di chi era in campo una volta, e sono contento adesso accada lo stesso con il sottoscritto. Anche perché si tratta di una piazza a cui resterò sempre legato; oltre ai grandi risultati ottenuti, mi sono pure sposato e quando posso un giro lo faccio volentieri».
A marzo non potrà mancare dunque, ma il motivo lo lasciamo spiegare volentieri a lei.
«Eh già. Sono dirigente dei Giovanissimi Sperimentali del San Martino Speme in cui gioca mio figlio Mattia, e fatalità siamo stati inseriti nello stesso girone dei gialloblù. Non mi dispiacerà affatto esserci, anzi».
Anni belli quelli di Belluno dunque per lei, e per di più culminati con un traguardo storico come quello della promozione.
«Indubbiamente quando vinci un campionato entrare nel cuore delle persone è più facile. Detto ciò, al di là di una vittoria fantastica, da nessuna parte ho vissuto anni così intensi e importanti, pur essendomi trovato bene pure in altre realtà».
A Belluno bomber Intrabartolo in che modo ci arriva, nell’estate del 2001?
«Grazie ad un campionato importante con la maglia dell’Adriese. Il ds Bottacin mi teneva d’occhio e poi mi contatta, e senza aspettare chissà quanto arriva l’accordo con il presidente Savasta. Ho scelto in maniera decisa, convinto da un progetto importante e vincente, come poi si è dimostrato essere».
Il primo anno prendete le misure, arrivando secondi alle sole spalle del Pordenone, poi c’è la consacrazione.
«In effetti eravamo già una buona squadra, migliorata e cresciuta con mister Tormen in panchina. Nel corso dell’estate invece ecco alcuni innesti mirati, fondamentali per poter poi trionfare. Avevamo i giovani più forti di tutti, come poi hanno dimostrato le varie carriere dei Togni, Tomasig, Giuliatto e Schiavon. E ne sto citando solo alcuni».
Ma la scintilla vera e propria quando è scoccata?
«Non c’è stato un momento decisivo. Semplicemente ogni settimana acquisivamo sempre più consapevolezza, aumentando la forza del gruppo».
Una squadra che si forgiava pure negli appuntamenti al bar da Ciccio e non solo.
«In effetti capitava di fermarci lì, specie quando tornavamo da Sedico dove a volte svolgevamo i nostri allenamenti. Più di tutti cito però la pizzeria da Mannaggia, punto di ritrovo per tanti pranzi e cene. Con Renato, il proprietario, sono ancora adesso in contatto e appena torno a Belluno devo passare a salutarlo».
Magari proprio a marzo
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«Vero, ci potrei proprio pensare. Speriamo quel giorno giochi pure la prima squadra in casa, così siamo apposto e completo la domenica al meglio».
Tornando al Belluno e al suo ex allenatore, lo sa che Tormen ora è direttore sportivo dell’Union Feltre, la squadra rivale in provincia?
«Sapevo, sapevo. Ma d’altronde nel calcio si viene e si va. Però penso in cuor suo abbia sempre un occhio di riguardo nei confronti dei colori gialloblù: non può che essere così, essendo di fatto cresciuto in quella società».
Troppo facile dire che il gol più bello di Intrabartolo sia quello segnato al Bassano.
«Lo ho davanti agli occhi come stesse avvenendo ora, ma nel cuore ne ho anche altri. Penso soprattutto a quelli che hanno portato punti nelle partite più sofferte. L’1-0 su rigore al Polisportivo contro il Santa Lucia, tanto per citarne uno».
Però che domenica, quella del 4 maggio 2003.
«Tutto ancora ben impresso nella mia memoria. L’entusiasmo contagioso, il Polisportivo gremito, l’attesa. Poi poteva pure andare male: quando hai due risultati su tre a disposizione e tante aspettative addosso rischi pure di combinare disastri. Per fortuna così non è stato: in campo li abbiamo travolti».
E la sera prima? Ritiro o tutti in famiglia?
«Ci siamo trovati a mangiare assieme alla Carpenada, abbiamo parlato un po’ della partita poi ognuno è stato libero di ritornare a casa sua».
I compagni di quell’anno con cui ha legato di più?
«Stavo bene assieme a tutti. Poi chiaro, con i vari Girardi, Poletti, Bisso e Tomasig il rapporto era consolidato dal fatto che abitavamo lì assieme, quindi capitava di condividere più momenti fuori dal campo. Non dimentico, comunque, capitan Padrin, vero leader dello spogliatoio. Anzi, non mi stupisce il suo impegno politico attuale: già a quei tempi sembrava adatto ad intraprendere quella strada».
E del presidente Renzo Savasta cosa ci dice?
«Poteva capitare di non vederlo per un bel periodo, ma poi quando ci veniva a trovare dava la carica per tutto il mese successivo. Una presenza forte, carismatica e sempre pronto a dare consigli».
Un film perfetto, insomma. Ma per lei l’esperienza in gialloblù si chiude a metà della stagione in C2. Come mai?
«Sono avvenuti dei fatti dei quali preferisco non parlare dopo i quali abbiamo preferito dividerci. Nulla di particolare è, mi volevano comunque bene quasi tutti nell’ambiente. So solo però che stavo segnando con regolarità e rimane il rammarico di quanto bene avrei potuto fare nel ritorno, visti i numerosi gol segnati quando sono passato alla Sambonifacese».
Intrabartolo ieri, Corbanese oggi. Di bomber a Belluno paiono intendersene bene.
«Non ho avuto la fortuna di vederlo giocare chissà quante volte, però nella mia seconda esperienza in gialloblù (serie D, stagione 2005-2006 con Daniele Pasa allenatore, ndr.) iniziava già ad essere aggregato con la prima squadra. Abbiamo caratteristiche diverse, lui è più prima punta, ma sono contento stia facendo bene nella sua città. E lo dice uno che ci sente ancora molto bellunese».
Ora di cosa si occupa?
«Lavoro per un’azienda del mio comune, San Giovanni Lupatoto. Poi seguo i figli: Mattia, che gioca nei Giovanissimi Sperimentali del San Martino, e i due gemelli militanti uno nei pulcini dell’Hellas Verona e l’altro in una squadra qui vicino».
Chissà se anche loro tre cresceranno con un po’ di gialloblù bellunese nel sangue.
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