La leggenda della staffetta che ammutolì i norvegesi

. Sembra ieri e invece è passato un quarto di secolo. Giusto 25 anni fa, era il 22 febbraio 1994, alle Olimpiadi di Lillehammer gli azzurri del fondo conquistarono una delle vittorie più grandi della storia dello sport italiano: l’oro nella staffetta 4x10.
Nell’ordine, Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner, con quest’ultimo a coronare il lavoro dei compagni di squadra: il sappadino che fulminò la leggenda del fondismo vichingo, quel Bjørn Dæhlie che ancora oggi ricorda come un «nightmare», un incubo, Fauner e il 22 febbraio del 1994.
Il “lancio” della staffetta fu affidato al più vecchio della spedizione, quel Maurilio De Zolt che avrebbe compiuto 44 anni il successivo 29 settembre e che, molto probabilmente, fu la chiave di volta del successo. Colui che si assunse la responsabilità di perdere tutto pur di vincere tutto.
«L’idea sulla quale stavamo ragionando noi e lo staff era quella di far partire Silvio in prima frazione e a me assegnare l’ultima», spiega il Grillo di Presenaio. «La scelta aveva una sua logica, perché Silvio in classico era forte e ci avrebbe permesso di rimanere attaccati ai migliori in quella che era una frazione delicatissima. Però, se Silvio avesse fatto il lancio, avremmo avuto ottime probabilità di finire sul podio, ma possibilità zero di vincere l’oro. Allora ho detto vhr avremmo dovuto rischiare il tutto per tutto: se fossimo stati bravi a resistere in scia ai primi fino alla quarta frazione, poi Silvio in volata avrebbe potuto giocarsela, cosa che né io né gli altri avremmo mai potuto fare. Così, alla fine, è stato. Io sono uscito ultimo al lancio, ma già al culmine della prima salita ero terzo. Ho dato il cambio ad Albarello con 7, 8”. Poi, sapete come è andata a finire. Dopo due argenti (quelli della 50 di Calgary’88 e della 50 di Albertville’92 ndr) sono riuscito finalmente a mettermi al collo il metallo più prezioso».
«Fu festa grande quella sera», dice ancora De Zolt. «Così come fu uno spettacolo incredibile la quantità di gente che affollava lo stadio del fondo. Spero che le emozioni che abbiamo vissuto noi possano viverle anche i fondisti della nuova generazione».
Già. Ma come vede il Grillo il fondismo di oggi?
«I nuovi format lo hanno stravolto», dice. «Io credo che abbiano sbagliato».
Se De Zolt era il più vecchio del quartetto, Silvio Fauner era il più giovane in quella storica giornata: 25 anni compiuti da pochi mesi. Fu lui a battere Dæhlie sul traguardo di Lillehammer e ad ammutolire i 200 mila norvegesi che attendevano il trionfo dei padroni di casa. A Silvio è toccato raccontare un’infinità di volte di quella gara.
«Sì, è vero, ma non mi stuferò mai di farlo» dice “Sissio” Fauner. «Anzi, fa piacere che, anche a distanza di anni, tanti tifosi mi chiedano di quella gara, magari ricordando episodi che a me erano sfuggiti. Come, ad esempio, quando nel finale la gente fischiò me e Dæhlie che, per timore l’uno di favorire l’altro, in una curva ci eravamo quasi fermati per studiarci».
Gli episodi curiosi, legati a quel giorno, non mancano. Uno è legato alla grandissima capacità di sopportare la tensione che aveva Fauner.
«La mattina della staffetta di Lillehammer, dovevamo partire dall’albergo alle 9 e io alle 8.45 stavo ancora dormendo! Mi svegliò un allenatore», racconta il sappadino che sottolinea anche come uno dei ricordi più belli di quel 22 febbraio sia legato alla cerimonia di premiazione serale.
«Essere lì sul palco, sentire l’inno e vedere sventolare la bandiera italiana fu qualcosa di unico. Così come splendido fu ricevere le congratulazioni dei tifosi norvegesi: passata la delusione si complimentarono con noi, cosa che non capita spesso negli altri sport. Ecco, questa è una delle cose più belle di quella giornata».
Tanti furono anche i tifosi svedesi che si congratularono con gli azzurri. «Per loro fu una piccola grande soddisfazione che noi avessimo battuto i loro rivali storici».
A proposito di tifosi, diversi furono coloro che da Sappada e dal Comelico salirono a Lillehammer. La maggior parte in aereo, qualcuno in camper. E non tutti trovarono posto nelle vicinanze del sito olimpico.
«Noi eravamo alloggiati vicino Oslo», racconta Silvano Mele. «Ogni giorno, per una settimana, facevamo 180 chilometri all’andata e 180 al ritorno per vedere Silvio, Maurilio e gli altri: un bel po’ di chilometri, sì, con l’auto a noleggio. Ma ne è valsa la pena. Eccome!». —
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