La seconda vita di Silvano Varettoni

Il discesista azzurro si sposerà il 30 giugno, allenerà il Drusciè e continuerà a commentare le gare su Eurosport

BORCA. Inizia con una fede al dito la seconda vita di Silvano Varettoni. Riposti in soffitta gli sci che lo hanno accompagnato nella lunga carriera professionistica, adesso è tempo di dedicarsi ad altro iniziando dal “grande passo”, il matrimonio con Lara che verrà celebrato il 30 giugno.

Eppure nella vita di Silvano gli sci sono sempre in primo piano anche se con una visione nuova, per certi versi inedita, rispetto a ciò che accadeva solo poco tempo fa.

Partiamo dalla fine: cosa fa oggi Silvano Varettoni?

«In questo momento è alle prese con gli ultimi preparativi del matrimonio, che vanta la priorità assoluta. Siamo un po’ in tensione ma credo sia normale. Festeggeremo al ristorante Col Druscié, che rappresenta la mia nuova seconda casa anche in ambito professionale. Che sia un segno del destino?».

Il matrimonio è solo l’ultima delle grandi novità che hanno accompagnato Silvano Varettoni da quando ha chiuso con la carriera da sciatore professionista?

«Esattamente. Le altre due grandi novità sono rappresentate da Eurosport e dallo sci club Druscié. Con Eurosport collaboro già dalla scorsa stagione nelle vesti di commentatore delle gare di sci alpino maschile. È un impegno che mi porta a girare molto, ma è un piacere per me, che non sono mai stato seduto dietro una scrivania. Spesso lavoro da Milano, altre volte andiamo sul posto di gara. In Italia siamo sempre in tribuna, all’estero un po’ meno ed allora ripieghiamo in studio. Le intenzioni per il prossimo anno sono quelle di essere più presenti nei luoghi di gara, a partite dai mondiali di Svezia».

E l’avventura nello sci club Druscié?

«Nasce tutto da un’esigenza, quella di aumentare le ore di attività come maestro di sci. Ho conseguito il titolo solo lo scorso anno, è un po’ un paradosso per un ex atleta professionista, ma le regole sono queste e vanno rispettate. Lo scorso anno ho fatto solo 24 ore di lezione, quando in media un maestro di sci a Cortina ne fa 500. Per aumentare il monte ore ho deciso di sposare una realtà molto importante sul territorio, che svolge un’attività eccezionale ad ogni livello. Personalmente seguirò gli atleti del corso Master, ma anche i giovani, sia maschile che femminile, senza disdegnare uno sguardo ai più piccoli che rappresentano il futuro di questo sport. Metterò a disposizione la mia esperienza per una cinquantina di ore complessive, che ricaverò tra un impegno ed un altro, ma sono molto contento anche perché il ruolo di allenatore me lo vedo addosso soprattutto in ottica futura».

Magari tra le fila della nazionale italiana...

«È il mio grande sogno, inutile nasconderlo. Ci avevo già fatto un pensierino appena chiusa la carriera agonistica, ma i tempi probabilmente non erano ancora maturi. Vedremo in futuro, ma il pallino resta, è più di un’idea».

Guardando indietro, Silvano Varettoni ha qualche rimpianto particolare legato alla sua carriera da sciatore professionista?

«No, rimpianti direi di no. Ho il rammarico di non aver mai centrato un podio, ma fa parte del gioco. Ci sono andato vicinissimo a Garmisch nel 2015, quando ho chiuso al quarto posto con quattro centesimi di ritardo sul terzo classificato. Però ho dato tutto quello che avevo e questo mi rende sereno. Anzi, forse ho fatto anche di più. Mi riferisco all’infortunio del 2008 che mi ha costretto a rimanere fermo due anni. In quel lasso di tempo ho sofferto molto e più di una volta ho pensato di mollare tutto. Poi, una volta ristabilitomi dall’infortunio, mi ero posto come obiettivo il ritorno almeno per una volta in coppa del mondo. In realtà poi di gare di coppa nel mondo ne ho fatte tante chiudendo cinque volte tra i primi dieci. Insomma, sono andato ben oltre le più rosee previsioni e questo sarà per me il ricordo più bello, non solo dal punto di vista sportivo ma anche umano».

Non ci sono solo gli sci nella vita quotidiana di Silvano Varettoni.

«No, c’è soprattutto il lavoro nella ditta di famiglia che divido con mio fratello Andrea. Mi ci concentro soprattutto in estate, diciamo da aprile ad ottobre, periodo in cui molti atleti se ne vanno in vacanza».

Che stagione sarà la prossima per lo sci italiano?

«Spero positiva. Abbiamo un mondiale in Svezia all’orizzonte, dove a livello maschile saremo chiamati a conquistare almeno una medaglia che manca da troppo tempo. Alle Olimpiadi abbiamo fatto bene ma la mancanza di una medaglia rovina inevitabilmente il giudizio finale. Per fortuna ci sono le donne a farci esultare: quanto fatto da Sofia Goggia è straordinario, ma penso anche alla Brignone. Grazie a loro lo sci italiano ha rivissuto i fasti di un tempo, quelli di Tomba, Compagnoni e del nostro Kristian Ghedina. È grazie a loro se il movimento ha ripreso slancio anche se abbiamo ancora qualcosa da recuperare da altre nazioni europee».

Tipo?

«Tipo che in Italia siamo troppo concentrati attorno alla conquista del risultato. Così facendo i nostri ragazzi si stancano presto, a 14/15 anni hanno già voglia di mollare tutto perché non reggono alle pressioni. In Norvegia ad esempio è tutto diverso, l’obiettivo primario è divertirsi in compagnia. Questo favorisce il gioco di squadra. I loro successi, nonostante il numero esiguo di tesserati rispetto all’Italia, nascono da questo presupposto: divertirsi».

Chiusura dedicata al tuo addio al celibato che merita di essere raccontato.

«I miei amici mi hanno tirato uno scherzo incredibile. Ero dal fisioterapista a Cortina quando, uscendo, me li sono ritrovati davanti. Mi hanno vestito con una tuta da sci portandomi fino all’aeroporto di Treviso e poi da lì ad Ibiza dove sono arrivato con lo stesso abbigliamento della partenza. Non sapevo nulla e non avevo nulla dietro per cambiarmi. Ricordo come mi guardava la gente sia a Treviso che, soprattutto ad Ibiza. Ah, dimenticavo: mi avevano messo ai piedi gli scarponi ed un paio di sci lunghi cinquanta centimetri. All’aeroporto di Treviso sono stato obbligato a toglierli altrimenti non mi avrebbero fatto salire sull’aereo».

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