L’immortale Grande Torino adesso rivive a Mel: cimeli granata in esposizione fino al 14 aprile

Settanta anni dopo il mito della squadra granata scomparsa in un incidente aereo è ancora vivo



Ci sono padri che hanno cercato di addormentare i propri figli piccoli raccontando loro le imprese del Grande Torino. Di Capitan Mazzola che si rimboccava le maniche. Della formazione da recitare come una preghiera. Dell’aereo partito da Lisbona e fermato dal destino sulla basilica di Superga il 4 maggio 1949. Come un poema epico.

Addormentarli? Invano. Settant’anni dopo il mito di quella squadra formidabile è vivo, interessa e tiene svegli come si è visto ieri al Palazzo delle Contesse di Mel per l’inaugurazione della mostra “Non credevamo di amarli tanto”, voluta dall’associazione Il Feudo, presieduta da Andrea Robassa, in collaborazione col Museo del Grande Torino di Grugliasco.

Una storia che, a distanza di 70 anni, fa ancora bagnare gli occhi alle anime candide. Come Rosa del Centro Diurno Noialtri di Mel che sul libro “L’ultimo gol della vita”, che si può sfogliare alla fine della mostra, ha scritto così: “Ho immaginato con le lacrime agli occhi le scarpe da gioco in paradiso”.

Assieme ad altri 15 amici del centro, Rosa ha fatto molto per legare la memoria del Grande Torino a quanti visiteranno la mostra (fino al 14 aprile, sabato e domenica 9-12 e 15-18): un braccialetto colorato da indossare all’entrata e un dipinto donato al Museo Grande Torino. Un museo che ha messo a disposizione dell’associazione Il Feudo una serie di cimeli, fotografie, disegni e documenti originali dell’epoca per l’unica tappa triveneta di una mostra che ha anche il merito di ricordare a 20 anni dalla morte il cuore granata bellunese Maurizio “Pedro” Pedrazzoli.

Gli “Invincibili” si ritrovano nelle stanze del palazzo nei disegni di Giampaolo Muliari, direttore del museo di Grugliasco. Ognuno ha una caratteristica singolare: Loik è un “mulo” che fatica a centrocampo, Menti ha il tiro secco, Grezar ha la prestanza fisica, Mazzola il carisma ( “Quando girò voce che avrebbe potuto andare all’Inter – racconta Muliari – i suoi compagni dissero al presidente Ferruccio Novo che, pur di tenerlo con loro, erano disposti a ridursi lo stipendio”).

Insieme sono appunto invincibili: nella pagina di giornale dell’ineguagliato 10-0 all’Alessandria e in quella del 3-2 all’Ungheria dell’11 maggio 1947 quando 10 di loro vestirono la maglia azzurra.

Invincibili, soprattutto, nello stadio Filadelfia. “Dal 1943 al 1949 – dice Muliari – di fronte a quel pubblico sempre numerosissimo, non persero mai, per cento partite di fila. Al museo abbiamo la tromba di Bolmida, il capostazione, che quando la partita languiva suonava la carica”.

Di quel Filadelfia, in mostra c’è un mattone, c’è l’urna dei biglietti, i cartelli delle gradinate e della curva. Di fronte ai filmati girati in quello stadio e proiettati alla mostra, Gianni De Biasi, primo allenatore della gestione di Urbano Cairo, rimane impassibile, in silenzio, per un quarto d’ora. C’era anche lui ieri mattina a respirare la Storia. La storia del calcio, certo. Ma anche la storia di Torino, 400 mila abitanti, che il giorno dei funerali ne conta 600 mila; dell’Italia divisa in comunisti e democristiani che si commuove tutta; dei calciatori che arrotondano con altri lavori; dei capitani che si scambiano fiori e fiaschetti di Chianti prima della partita.

«Ormai sono pochi quelli che hanno visto il Grande Torino – conclude Muliari – eppure quel modo di interpretare il cacio e i sentimenti che incarnava quella squadra vivono ancora nel cuore di tanti». —
 

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi